I nemici della musica

Kesha 1Da qualche settimana rimbalza ininterrottamente tra le miliardi di righe dedicate al gossip una notizia che, in verità, di gossip ha ben poco. E’ una vicenda che quando ho avuto occasione di venirne a conoscenza mi ha fatta rimanere un attimo… impietrita. Sto parlando di Kesha, che si è vista negare dal giudice la sua richiesta di scissione del contratto che la lega alla Sony e ad un noto produttore, tale Dr. Luke, con cui ha piazzato per qualche anno una hit dopo l’altra nelle classifiche di tutto il mondo. Una carriera che sembrava essersi avviata bene, voce molto effettata ma personaggio gradevole, non troppo impegnativo, insomma: tutto quello che ci si può aspettare dal pop che deve smuovere le piste dei club piuttosto che le coscienze collettive. Ed invece, per ironia della sorte, proprio quando stavo considerando che le luci si fossero spente un pelino troppo brutalmente sulle avventure discografiche di questa cantante, viene fuori il terremoto che scuote anche le coscienze con un’eco che raramente ha raggiunto un picco tale.

Ha scosso per bene il music system, raggiungendo i gradi più alti della scala Richter. Kesha ha dapprima denuciato abusi fisici e psicologici da parte del produttore, per poi ritrattarli e in seguito denunciare di aver ritrattato sotto minaccia di ritorsione e per questo motivo il giudice ha dichiarato di non avere elementi sufficienti per giustificare la scissione del contratto. Insomma, non ci sono le prove. Le accuse sono molto pesanti, ma in fin dei conti Kesha non ha chiesto la galera per quest’uomo, ha chiesto solamente di non lavorare più con lui e gli è stato negato.

Questo caso è importante perché ha attirato l’attenzione su un problema che già un altro nome assai più noto aveva avuto modo di esporre: Lady Gaga ha ammesso di aver subìto un abuso sessuale da un produttore con cui ha lavorato. Tema quindi a lei caro tanto da concorrere all’Oscar con la canzone Till it happens to you (Fintanto che non ti accade), dedicando l’esibizione live alla cerimonia proprio a Kesha. A lei si aggiunge Kelly Clarkson che, inaspettatamente tornata agli onori delle classifiche, ha dichiarato di aver ricevuto pressioni dalla sua etichetta per lavorare con Dr. Luke. Ma altri nomi sono accorsi a sostegno di Kesha: Taylor Swift (condendo il tutto con una donazione alla cantante di 250.000 dollari), Demi Lovato (ricordiamo che ha dichiarato già in passato di aver ricevuto pressioni per il suo aspetto fisico), Ariana Grande e, dulcis in fundo, Adele che ha sostenuto Kesha pubblicamente al ritiro di un grammy ringraziando la sua casa di produzione per averla sempre considerata una persona, una donna. E infatti lo stile di Adele non è esattamente quello delle cantanti citate. Questo coro credo che abbia finalmente smosso almeno una questione: non si può sempre e solo basarsi sul denaro. Il denaro lo producono le persone e le persone sono esseri umani.

Kesha 2Perciò, al di là della questione legale di Kesha che è ancora incerta, penso sia importante finalmente prendere coscienza di come si sta sprecando un enorme potenziale emotivo, di tenacia, di passione che queste donne hanno conservato e accresciuto dentro di sé. Perché reclamare un diritto non è vendetta a un torto subìto. Kesha può piacere o non piacere, però ha il diritto di continuare a fare il suo lavoro: pop. Così come hanno il diritto di portare avanti un impegno così importante e che richiede sacrificio come quello di una carriera musicale tutti gli artisti che hanno qualcosa da dire. Un’industria che è stata legata per troppo tempo alla mercificazione di una cosa invece istintiva quale è il sesso e che già da un po’ era ripiegata sui suoi meccanismi di “guadagnare a tutti i costi”. L’immagine è tutto, muove un’industria. Ma è la punta di un iceberg quanto grande? La questione non riguarda solo le donne. Velatamente ma anche un certo Justin Timberlake, tra l’altro apprezzabilissimo attore, ha spesso espresso qualche perplessità sulla sua esperienza negli ‘N Synch. Una storia un po’ trita, e pure io sono ripetitiva nell’insistere nel citare una Alanis Morissette che per anni ha denunciato la pressione che gli artisti ricevono dal music business riducendo un po’ il tutto a una sfida a suon di chiappe e produttori di grido. Ma l’arte è fatta di ricerca, curiosità, idee.

Visto l’intensità del movimento #freekesha, ora la Sony sembra stia valutando di ritrattare la sua posizione a riguardo. Kesha non può produrre musica indipendentemente da loro e sembra che tenerla bloccata in questo modo sia controproducente per l’immagine. Solo per l’immagine?

Penso che lo scoppio di questa bomba abbia smosso una cosa molto grande da gestire, sono davvero desiderosa di vedere cosa queste nuove generazioni riusciranno a combinare. Non voglio pensare che abbiano usato un capro espiatorio per grottesche manovre di marketing come è stato citato da qualche parte e non voglio nemmeno discutere se l’impatto di Kesha sulla storia della musica sia musicalmente così rilevante o meno. Chi se ne importa a questo punto. Intanto se ne parla. Vediamo adesso come si agisce.

Kesha – We R who we R

Giovanna Cardillo

Sono Giovanna. Da anni m’interesso di musica, che scrivo e soprattutto ascolto. Ho esperienza come musicista nel teatro terapeutico e ho studiato Culture e Tecniche della Moda. Mi innamoro di tutti i gatti che vedo e ho sposato appieno la loro filosofia di vita. Anzi, tutte le loro sette vite!

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