Sshhh! Era notte!

Moby 1Ci sono artisti che sembrano davvero venire da un altro mondo, un mondo magico, che esiste solo nei sogni.

Mi ricordo che da bambina mi trovavo a mio agio fantasticando sulle favole di Rodari.

Qualche giorno fa, proprio pensando a questo formidabile scrittore, mi sono accorta di non ricordarmi nulla di tutto ciò che mi ero costruita fantasticando. Il fantasticare è sempre stato troppo nella mia testa di bambina, mi portava ad essere disattenta a scuola, a creare situazioni irreali e restarci male quando tornavo alla realtà. La fortuna ha voluto che avessi degli amici che avevano la stessa abitudine e insieme abbiamo esplorato ogni emozione, ogni luogo, ogni personaggio. Abbiamo vissuto vite, sfide e romanzi. Sì, eravamo un gruppo di lettori accaniti che giocavano di fantasia e, a dire il vero, un bel gruppo di strambi. Ma appagati. Mi ricordo un episodio. Era pomeriggio tardi ed era sceso il buio, sicché avevamo deciso di ripiegare e continuare le nostre odissee in camera mia. All’improvviso mia madre notò uno strano silenzio. Allarmata venne a bussare alla porta ed entrò chiedendo se fosse tutto a posto. La risposta venne da un mio co-protagonista e fu: “Sshhh! Era notte!”. Mia madre, tranquillizzata, si scusò e richiuse la porta cercando di far piano e comunicò a mio padre di non fare troppo rumore “Perché era notte”. Meno male che i miei capivano l’antifona. Inoltre, avevamo un grande giardino, chiuso rispetto alla strada, pieno di alberi e cespugli che a primavera erano in fiore. Un’oasi in mezzo al cemento mestrino, dove poter giocare. E non vi dico.

Moby mi trasmette sempre quella sensazione di essere in un labirinto con i miei amici d’infanzia, ad inventarci qualcosa per complicare un po’ le cose. Per divertirci un po’ di più. Mi dà sempre la sensazione che sia arrivato il momento di rincantucciarsi davanti a un camino acceso, mentre fuori nevica, ascoltando suoni caldi che ti danno lo slancio per saltare da una stella all’altra o, al contrario, a trovare la via d’uscita dal tuo peggior incubo. Ecco perché mi piace Moby. Ti permette l’accesso al suo mondo, o meglio, al mondo per come lo vede lui. Sì, forse è più esatto. Ha sempre quell’espressione del “ti sto osservando e non immagineresti mai cosa sto vedendo”. Sarebbe curioso poter abitare la sua testa per un paio d’ore.

Moby non è stato baciato dal successo a inizio carriera. Anzi. Gli esordi sono stati molto duri, dettati da una situazione economica disastrosa ma anche dalla convinzione di essere in grado, prima o poi, di mostrare al mondo un capolavoro. Con Play ce l’ha fatta. Ma ha dovuto affrontare anni e anni di gavetta senza avere un tetto sopra la testa e, solo a dieci mesi dalla pubblicazione dell’album, Moby conosce il meritato successo.

La promozione dell’album ha seguito una strana carambola. Vengono proposti i pezzi come sfondo a spot pubblicitari che non sempre vengono accettati. La V2, l’etichetta che raccoglierà le ultime speranze dell’artista e che le trasformerà in certezze, ha compreso che la peculiarità di Moby è una cavalcata tutta in salita. In salita, appunto, non in discesa verso gli inferi. Perciò, è chiaro che tante volte una major non è poi tutto, nel percorso di un artista. Certo, Moby annoverava tra i suoi fans artisti del calibro di Axl Roses, Bono degli U2. Insomma, doveva arrivare il momento giusto. Bisognava tenere in caldo la minestra e questa particolare politica di promozione, ha dato i suoi frutti.

La stessa videografia è bizzarra. Esistono diverse versioni dello stesso singolo, video diretti da registi mica da poco: Jonas Åkerlund, David LaChapelle, giusto per fare qualche nome.

Moby 2Sì, sembra proprio di giocare a qualcosa di paradossale. Come mi è sembrato paradossale vederlo alla produzione di album di Britney Spears, ma tant’è, avrei voluto vederli lavorare assieme… Se mai si sono incontrati, perché non è proprio scontato ormai. A non esserci, quanta storia ti perdi.

Eppure non mi meraviglia come da una figura come quella di Moby, che vedresti bene come contabile nell’ufficio al settimo piano e mezzo (chi ha visto Essere John Malkovich sa di cosa sto parlando), escano pezzi come Guitar Flute & String, Find my baby, Bodyrock, Run on, Machete e via dicendo.

Trovo che le parole servano davvero poco a descrivere un lavoro creato per far vibrare le emozioni come corde di una gigantesca arpa che ha tutta l’aria di essere la metafora della fantasia. Con la fantasia i limiti cadono, il tempo forse scorre, forse no. Alla fine che importanza ha?

Perciò, quando ho voglia di tornare bambina e leggere favole di Rodari o Roald Dahl, Moby è la giusta colonna sonora. L’abilità sta però nel saperle leggere con lo stesso spirito e non col sorriso nostalgico di una persona adulta. Non sto dicendo che essere adulti sia una cosa brutta. A me piace esserlo. Solo che proprio, non riesco a storcere il naso quando mia madre sfodera quello che combinavo da bambina, perché facevo cose davvero divertenti, strane, che ora non farei, ma, per fortuna, sono immune all’imbarazzo a riguardo. M’imbarazzo più spesso quando arrivo a casa della mia amica del cuore e sua figlia, una bella bambina, mi corre incontro per abbracciarmi e darmi un bacio. La prima volta si è accorta che mi ero spaventata, non me lo aspettavo, e mi guarda negli occhi: “vorrei darti un bacino”. Realizzando che è la cosa più semplice del mondo, ti fai delle domande su che cosa ti sia successo. Come fa una bambina a volermi così bene se io sono sempre incazzata per qualcosa? La risposta credo sia che esiste un sentimento che ai bambini s’insegna (o è innato? Perché a me sembra più innato) e poi viene dimenticato (forse): la comprensione.

Comprendere ci permette di accogliere e valutare cosa sia bene per noi e cosa no. Ci permette di colorare un po’ le linee di pensiero che ci scorrono in testa. E’ un biglietto per qualche posto che potrebbe sorprenderci. Mi chiedo se si dimentichi nel momento in cui realizzi che i sogni non sono più soffici materassi su cui saltare, ma spinose sfide per raggiungere l’obbiettivo. Ora sta all’adulto trovare pace nell’obbiettivo raggiunto, essere conscio di non aver dato qualcosa solo a se stesso, ma al mondo.

Moby credo ci sia riuscito. Chissà che non sia contagioso!

Di seguito Bodyrock nella versione di Fredrik Bond.

Giovanna Cardillo

Sono Giovanna. Da anni m’interesso di musica, che scrivo e soprattutto ascolto. Ho esperienza come musicista nel teatro terapeutico e ho studiato Culture e Tecniche della Moda. Mi innamoro di tutti i gatti che vedo e ho sposato appieno la loro filosofia di vita. Anzi, tutte le loro sette vite!

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