RECENSIONE – “Quel che resta del giorno”

Quel che resta del giornoRomanzo di Kazuo Ishiguro pubblicato nel 1989, insignito del Booker Prize e dal quale James Ivory ha tratto nel 1993 l’omonimo film con Anthony Hopkins ed Emma Thompson come attori principali, narra in prima persona la storia di Mr Stevens, un maggiordomo che ha dedicato la propria vita a servire il proprio signore, Lord Darlington a Darlington Hall.
Ambientato in un arco di tempo che va dal periodo che precede la Seconda Guerra Mondiale agli anni immediatamente successivi, la narrazione inizia quando Stevens riceve una lettera da un’ex collega, Miss Kenton, dalla quale egli deduce che la vita coniugale della donna non sia delle più felici. Stevens coglie l’occasione per rivedere la donna, con il pretesto di offrirle l’opportunità di riprendere il proprio incarico di domestica a Darlington Hall. Il nuovo proprietario della tenuta, lo statunitense Mr Farraday, permette a Stevens di guidare una delle sue auto per il viaggio in Cornovaglia che lo porterà infine da Miss Kenton. È durante questo viaggio che Stevens riflette sul passato: il proprio rapporto con Lord Darlington caratterizzato dalla grande fedeltà del maggiordomo, quello col defunto padre, il significato di “dignità” per un maggiordomo e, non da ultimo, il proprio rapporto con Miss Kenton. Col progredire della trama s’intuisce, infatti, l’esistenza di un antico amore reciproco tra i due, mai dichiarato: negli anni che precedono la Seconda Guerra Mondiale, i due vivono un rapporto di amicizia fondato sul lavoro e la professionalità, senza mai oltrepassare la linea del romanticismo. Si scopre che Miss Kenton è sposata da vent’anni, anche se la stessa ammette di pensare spesso a come sarebbe stata la vita con Mr Stevens. Quest’ultimo riflette sulle occasioni perdute, sia con Miss Kenton sia con Lord Darlington; quel che resta del giorno, cioè della propria vita, è ciò a cui Stevens sceglierà di dedicarsi.
Il romanzo affronta diversi temi interessanti e vorrei per primo evidenziare quello che più mi ha colpito per la sua curiosità. Si tratta della questione delle battute scherzose: nel prologo è lo stesso Stevens a sollevarla, un vero e proprio problema per il maggiordomo. Egli, infatti, considera un proprio dovere l’intrattenere con conversazioni di spirito Mr Farraday. Stevens, in tutta la sua devozione e professionalità, prende la questione molto seriamente, arrivando addirittura ad esercitarsi nella propria stanza e a “studiare” un programma radiofonico comico, il tutto senza successo. È soltanto alla fine che Stevens capisce il verso senso e l’essenza di una conversazione leggera e di spirito.
Vi sono poi altri temi di rilievo, primo fra tutti la “dignità”, l’aspetto più importante della vita di Stevens in quanto maggiordomo. La capacità di conservare la propria dignità, specialmente nelle situazioni di grande responsabilità, è ciò che caratterizza un grande maggiordomo. La dedizione di Stevens nel salvaguardare costantemente questo proprio tratto, tuttavia, influisce pesantemente sugli aspetti più emozionali della sua vita, come l’avere un’opinione politica, l’amore e i rapporti sociali già pesantemente condizionati dalle restrizioni del tempo. È così che Stevens non arriva a sviluppare il lato emotivo della propria personalità: la reazione al momento della morte del padre ne è un esempio evidente, quando egli si preoccupa principalmente di non trascurare il proprio lavoro nonostante il lutto.
È evidente che le limitazioni sociali avevano un grande peso, come dimostra il fatto che chi desiderasse una vita coniugale vedeva messo a repentaglio il proprio posto di lavoro: un grande maggiordomo dedica la propria vita con lealtà a quella del proprio signore e non lo abbandona mai, proprio come Mr Stevens. Questo tipo di dedizione verso Lord Darlington, filotedesco e vicino alle organizzazioni dell’estrema destra (in lui si possono riconoscere gli aristocratici realmente esistiti Oswald Mosley e Lord Londonderry), è tale per cui Stevens non riesce a concepire l’idea che il suo padrone possa sbagliare, come dimostra la vicenda delle due serve ebree.
Rimane infine il rapporto con Miss Kenton: Stevens non sembra mai totalmente consapevole dei sentimenti della donna e nemmeno dei propri, trattenuto sia dalle limitazioni sociali di quegli anni ma anche dalla sua immaturità emotiva.
Come già in altri suoi romanzi (“Un pallido orizzonte di colline”, “Un artista del mondo fluttuante”), Ishiguro, attraverso i ricordi e la prospettiva del narratore, introduce gli eventi del passato in modo frammentario e quasi subconscio, in modo tale che, a mano a mano che noi lettori scopriamo il personaggio di Stevens, siamo in grado di interpretare il significato sotteso di questi frammenti della memoria.
Un romanzo molto ricco e affascinante nell’ambientazione per chi, come me, ama quegli anni tra le due Guerre Mondiali e che hanno sancito il definitivo declino dell’aristocrazia britannica.

Francesca Orlandi

Mi chiamo Francesca, sono laureata in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università di Ferrara e da sempre appassionata di cinema. In questo spazio virtuale mi occuperò di recensire film e dare consigli cinematografici.

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