Il beffardo sorriso – Seconda e ultima puntata

Quale mistero si cela dietro la morte di zia Tea? Quale segreto nasconde la casa in periferia?


Il beffardo sorriso – Seconda e ultima parte

Il beffardo sorriso 2

Piccole onde nere che si infrangono contro l’acciaio. Il cucchiaino agita lo zucchero sul fondo della tazzina e la superficie opaca del caffè si fraziona in mille riflessi. Il brusio costante di una televendita alla tv lenisce il senso di isolamento della casa. Lo zio è perso nei suoi pensieri e sorseggia il suo caffè con il ventre proteso in avanti nello sforzo digestivo. E’ il riposo del giullare che ha tenuto banco per tutto il tempo della cena. La zia è andata a mettere a letto i bambini, ma ormai è molto che si è assentata e comincio a pensare che si sia addormentata anche lei. I turbinosi interrogativi di qualche ora fa sono solo un ricordo, ora vige uno stato di calma placida e di rassegnazione, come se nulla potesse più sconvolgere la serata. Mi alzo mettendo in mostra un addome visibilmente dilatato, trangugio l’ultimo sorso di caffè e annuncio pomposo allo zio che me ne andrò al cesso. Sei culi e dodici tette saltellano improvvisamente sullo schermo del Telefunken modello prima guerra d’indipendenza. Decido di concedermi una sosta per osservare il panorama proposto. All’improvviso si sente una voce registrata parlare con fare cantilenante e metallico e rumori di spari. Vengono dal corridoio; deve trattarsi dei giocattoli dei bambini. Che Giulia e Matteo siano ancora svegli?
I culi tramontano come sei fantastici soli nell’insensata luminosità dello schermo. Decido che mi farò una bella pisciatina e poi me ne andrò a casa in taxi.
Il bagno è proprio in fondo al corridoio, subito dopo la camera da letto dei bambini e di fronte a quella dei loro genitori. La scarsa luminosità di quella specie di cunicolo proviene da un’unica lampadina posta al centro del soffitto, che ora ondeggia stranamente come sospinta da un vento invisibile. Ombre saltellanti mi accompagnano mentre procedo verso il bagno. Dal salotto al corridoio c’è un insolito dislivello termico, non me n’ero mai accorto prima. Il rumore di spari, ora accompagnato da tenui bagliori, proviene dalla fessura in basso della porta dietro la quale i bambini dovrebbero dormire infagottati in monumentali coperte in piuma d’oca. Ma non avverto la voce di Giulia, né del piccolo Matteo, e neppure il minimo indizio di un loro possibile ammutinamento all’autorità materna.
È vero: c’è qualcosa che non va in questa casa.
Un inspiegabile timore mi stringe la gola e un brivido sgattaiola giù per la colonna vertebrale. Accidenti a me e alla mia stramaledetta idea di andare a trovare la zia.
Mentre passo, mi accorgo di alcuni particolari della porta che non avevo mai notato precedentemente. Il legno è graffiato nella parte bassa e la maniglia di ottone lucido è ammaccata come se avesse ricevuto colpi di martello. Gli unici punti non danneggiati riflettono il mio volto grottescamente deformato.
-Sei morto, maledetto!
Ancora la voce metallica. Stringo il muscolo per trattenere la pipì, mentre gelidi serpenti mi scivolano lungo la schiena, giù fino all’osso sacro. Mi avvicino ancora di più alla porta per cercare di capire cosa stiano combinando dall’altra parte. Ora avverto dei sussurri e delle grida soffocate. La voce tesa e strascicata della zia che mormora parole indecifrabili. Ogni tanto qualche termine emerge dall’apnea di quell’indistinto biascicare: “via”, soprattutto “via”, e poi “questa casa”, e “mia”, reiterati come in un arcano formulario.
Mi decido e spalanco la porta. Ci vuole un po’ perché i miei occhi si abituino all’oscurità, mentre la debole luce del corridoio varca la soglia della stanza e si spinge fragilmente fino ad una nera figura centrale. Su una poltrona bassa la zia irrigidita, con gli occhi spalancati e iniettati di sangue, mi osserva sconvolta. Le sue guance bagnate riflettono lievemente la luce. Di fronte a lei, i letti su cui dormono i bambini. A metà strada tra me e lei, un robot di plastica passeggia borbottando e proiettando luce dagli occhi come un piccolo demone. Il giocattolo si ferma all’improvviso come se avesse finito le pile. Stringo le palpebre per penetrare maggiormente la semi oscurità.
-Zia che fai? – dico con un filo di voce – Tutto bene?
La bocca della zia si schiude in un respiro profondo come fosse emersa in quell’istante dall’acqua.
-Sì- la debole, tremolante risposta.
Nella mia mente arriva un tarlo che non riesco bene ad identificare, un sottofondo fastidioso, la voce di un insetto che continua a chiamarmi mentre sono concentrato su altro.
-Va bene,- dico, abbozzando un sorriso –dai, vieni di là allora: i bambini si sono già addormentati-.
Ma quel tarlo insiste, scava, picchia, grida e si fa spazio, tanto da non sentire neppure la replica della zia.
Chiudo la porta e raggiungo il bagno, alzo la ciambella e mi svuoto. Il getto scende zigzagando: è colpa della mano che trema. Mi impongo ampi respiri, ma mi riesce difficile. E’ ancora qui, l’infido insetto. Lui e il suo grido d’allarme. Nel mio corpo divampa un bruciante calore, mentre decine di gocce mi imperlano la fronte e un sudore freddo mi bagna la maglietta. E il maledetto insetto è ancora lì, lo spauracchio di una realtà che la mente razionale non può accettare. D’accordo, parla, piccolo insetto, che Dio stramaledica te e la tua specie. Parla!
Qui c’è qualcosa che non quadra e tu lo sai!
Ma che dici? Io non so niente!
Lo sai invece, hai visto! Tu hai visto!
Non far finta di non capire.

Per l’amor dei Santi!

Lo hai visto con i tuoi occhi…

Avevi tutto davanti agli occhi!
Checco, Checco
Non chiamarmi Checco, insetto.
Tu hai visto, hai visto, hai visto, hai visto…
E’ vero! Improvvisamente individuo qualcosa che avevo registrato dentro di me, ma che non voleva venire a galla. Ecco cos’ho visto! Ecco cosa c’era che non andava! Mio Dio, se dovessi mai esserci, aiutami! Fa che non sia vero, che abbia visto male! Ti prego…
Ma l’inconscio inclemente mi risbatte in faccia l’immagine di prima. Io la riosservo tutta, come fosse la prima volta, come fossi in un sogno. Vedo i letti con i bambini che dormono, tutto ok; i muri della stanza, tutto ok; la poltrona e la zia che mi guarda, ok; il giocattolo… il giocattolo è un comune robot per bambini, acceso. Sì, acceso. Poi vedo quella linguetta rossa sotto lo stivale del robot. Fuochino. E’ in bella mostra ora che si è spento e si è rovesciato a terra. Ancora un piccolo passo. Cosa c’è di strano? Niente, eppure sento che è qui che devo guardare. Nell’immagine registrata nella mente, la linguetta rossa esce come un sorriso beffardo da un incavo del piede di plastica. Ed ecco che una voce dentro di me si mette ad urlare: è vuoto! E’ vuoto! E’ vuoto! Il cuore rimbalza ed il sangue si gela bruscamente per poi riprendere il suo giro forsennato. Mi fiondo fuori dal bagno. Devo sapere! Spalanco la porta della camera dei bambini. Buio. Due punti. Occhi. La zia mi fissa nella stessa posizione in cui l’avevo lasciata. Ma la sua bocca è arricciata in una smorfia di orrore. Digrigna i denti e le cola della saliva dai lati della bocca.
– Vattene fuori! Vattene via! Non ti vuole qui!
Il viso di zia Tea è deformato dalla rabbia. Evito di guardarla negli occhi per non farmi intimidire: devo fare quello per cui sono rientrato nella stanza. Afferro con disgusto il robot e lo porto fuori nel corridoio. Devo sapere! Mi volto nella direzione della lampada che ora vortica su se stessa inspiegabilmente. Volto il giocattolo a testa in giù. La scoperta è completa! Con tre falcate sono in salotto. Lo zio Sandro scatta in piedi spaventato. Io lo guardo con odio, le gocce di sudore mi colano sul viso. Gli punto il giocattolo contro e lottando per respirare riesco a urlargli: -Per l’amor di Dio, come cazzo fa a parlare e a muoversi senza pile?
Silenzio.
La linguetta rossa sorride demoniaca dal vano vuoto.

Poco dopo la zia spunta visibilmente provata dal corridoio. Ha l’aspetto di una gestante dopo un parto difficoltoso. Afferra una sedia con la schiena curva e ci si accascia, col rito inclemente cui avevo più volte assistito. Lo zio silenzioso con le lacrime agli occhi la raggiunge. E’ una sagrada familia pietosa quella che si compone davanti ai miei occhi, con una madonna obesa e un’improbabile Giuseppe che le tiene una mano sulla spalla. D’un tratto ho la chiara percezione che la mia vita così come la conosco sia perduta per sempre
Mi trovo in un insolito limbo di sentimenti per cui non comprendo se in me prevale più la rabbia o lo spavento. I veli sono caduti, tendoni rossi e pesanti di cui non sospettavo neppure l’esistenza. Divento paonazzo e improvvisamente mi sento pronto a fare qualsiasi cosa, persino uccidere, se non mi daranno delle spiegazioni. Mi metto seduto davanti alla loro statuaria immobilità.
-Adesso noi parliamo sennò vi faccio a pezzi questa casa di merda!-
-D’accordo – concilia calmo e rassegnato lo zio – ma è proprio necessario? Sei sicuro di voler sapere?-
Io ringrazio Dio di non avere un fucile in mano. Lui, quasi captando le mie intenzioni, si siede dall’altra parte del tavolo e pone le mani sulla superficie calda del legno. Calma, sembra suggerire. Un brivido mi corre lungo la schiena mentre il vento investe la finestra. Ha smesso di nevicare, ma non posso sapere da quanto. So solo che le nuvole rosse sono sparite e la notte si è fatta nera e spenta. Da fuori non viene nessun rumore, solo questo vento imbizzarrito come un toro che sbatte contro la casa. Ma la vera corrida è dentro e io sono un matador improvvisato e maldestro costretto, suo malgrado, a sventolare il capote rosso.
La luce del salotto non è sufficiente a colmare gli spazi e l’ombra è incipiente e fastidiosa.
-Checco,- la zia prende la parola con una vocina sottile – io non te ne ho parlato perché non volevo coinvolgerti, forse perché sapevo che tu sei un po’ scettico riguardo a queste cose. Avevo paura che mi prendessi per pazza. Ora forse non puoi più farlo -.
-Vuoi venire al dunque, per favore?– incalzo.
Lei prosegue come se io non avessi detto niente, come se parlasse a se stessa.
-Io… Non ci credevo neanche io, finché…
-Finché? –
-Finché una mattina di qualche settimana fa mi sono trovata sola in casa. Fuori pioveva. È stato allora che ho sentito quell’odore nauseabondo, come qualcosa di marcio o di morto. Sto spolverando i mobili del salotto quando sento un rumore proveniente dalla mia stanza da letto. Dato che ero sola mi sono incuriosita e sono andata in camera a vedere cos’era successo…-
Qui la zia si ferma e abbassa lo sguardo. Sta cercando di trattenere le lacrime. Le metto una mano sul braccio per farle coraggio.
-Non puoi capire cosa sto passando– singhiozza -io non ce la faccio, non ce la faccio più.
-Zia?
Lei alza lo sguardo.
-Finisci- le dico.
-Sì- e tira su col naso –La stanza era tutta in ordine come l’avevo lasciata. Ad un certo punto… Tu hai presente come è fatta la stanza, no? Da una parte c’è il comò, al centro il letto e dall’altra parte il grosso armadio di mogano. Ad un certo punto, guardo di sfuggita l’armadio e vedo che c’è un’ammaccatura profonda, come una martellata, capisci?
-Vai avanti-
-E allora niente, mi avvicino e vedo che a terra c’è la mia cornice d’argento, quella che mi hanno regalato al mio matrimonio, col vetro tutto spaccato e dico: che cavolo è successo?
-Intendi quella grossa cornice che c’è sul tuo comò?
In tutto questo lo zio se n’è stato zitto zitto nel suo angolo di tavolo, smarrito.
-Si, bravo, proprio quella. Il fatto è che la finestra era chiusa perché dopo aver pulito la chiudo sempre. E poi in ogni caso ci sarebbe voluto un vento inaudito per alzare quella cornice e scaraventarla con forza dall’altra parte della stanza, o sbaglio?
-Ed eri sola?
-Sola, sì.
Mi stropiccio la faccia. –Cazzo- dico -cazzo! Io a queste cose non posso… mi dispiace, ma…- do un’occhiata a zio Sandro -So a cosa stai pensando zio, ma possono esserci molte spiegazioni-.
Lo zio tira su la testa cupo, le ombre gli rubano i contorni del viso: -Dimmene una- sussurra.
-Porca puttana- ammetto.
-E’ successo tutto in quei giorni che ero sola in casa. Sandro si era portato i bambini giù da sua madre e io non sono potuta andare perché non stavo bene. Durante la notte ho sentito…
Le salgono i singhiozzi e non riesce più a parlare. Si mette a piangere, il viso le si trasforma. E’ la prima volta che vedo la zia piangere. Tra le lacrime cerca di portare avanti il racconto.
-Ho sentito ancora quell’odore. Ho sentito un uomo. Mentre dormivo. Un uomo grosso e sudato. Era addosso a me, mi premeva sopra. Ho aperto gli occhi e non c’era nessuno. Ma io lo sentivo! Te lo giuro, te lo giuro. Non sono pazza, mio dio! Ho sentito tutto. Non era una persona. Non era vivo. Non riuscivo più a respirare. Ero immobilizzata e mi premeva. E poi, Dio… mi spingeva come se volesse… Sarà durato qualche minuto e poi più niente, ma guarda qui
La zia si alza in piedi e si scopre la spalla mostrando un grosso segno viola.
Ho lividi dappertutto- dice e intanto mi mostra grosse macchie viola sui fianchi, sulla pancia e sulle gambe.
Perdo la parola, non so cosa rispondere. Tutta la mia sicurezza smarrita. E ho paura che sia per sempre. Nel profondo di me so che la zia non mente. Quello che dice di aver sentito, lo ha sentito davvero. Ma che cosa? Di che cosa stiamo parlando esattamente? Davvero non saprei dire. O forse temo di dare una definizione, come se le cose non avessero il permesso di esistere finché non le definisci, finché non gli dai un nome. E adesso? Cosa faccio adesso? Vado avanti e accetto la terra vergine che sto calpestando e che al solo pensiero mi fa rimescolare le viscere? Posso sempre girarmi dall’altra parte, tornare alla mia vita di sempre, pacata e sicura, e lasciarmi tutto alle spalle. È da me. Ma potrei mai dimenticare questa notte?
Nella sala nessuno parla. Sarebbe silenzio, senza i singhiozzi della zia. La voce improvvisa dello zio mi richiama dal turbinio dei miei pensieri.
-Il Male esiste, non puoi far finta di niente.
Chiudo gli occhi e respiro piano, nel tentativo di far volar via la mente, via da questa casa, da queste strade solitarie, da questi monotoni palazzi, dalle nostre presunzioni e malinconie. Via. Uno stacco che ha il sapore dell’infinito e dell’eterno, e che invece finirà tra pochi, intensi secondi. Improvvisamente mi slancio in avanti con il busto e divarico le gambe. La zia mi guarda allucinata. Mi piego e vomito sul tappeto dove prima giocavano i bambini. Zio Sandro mi soccorre. Mi tiene le mani sulle spalle, cercando di farmi coraggio. Quando mi rialzo, vedo una cosa che non dimenticherò mai: lo sguardo dolce e indulgente della zia, che ha finalmente capito. Sa che da me non le arriverà quell’aiuto in cui tanto sperava.
Con gli stessi occhi zia Tea mi guardò per l’ultima volta dalla finestra del palazzo mentre mi allontanavo sconvolto e mi incamminavo a piedi verso la città luminosa.
Fu lo zio Sandro a trovare il corpo della moglie. Disse di essersi svegliato perché non riusciva a dormire. Sentiva dei rumori provenire dalla stanza dei bambini. I vicini non udirono urla o litigi quella notte. E neppure Giulia e Matteo che furono svegliati dal pianto disperato dello zio nelle prime ore di un mattino atroce e luccicante. Zio Sandro fu accusato di omicidio colposo e condannato. Ancora oggi non è chiaro cosa avvenne esattamente nel tempo che passò da quando lasciai la casa fino al ritrovamento del corpo tumefatto di zia Tea. Dentro di me so che il colpevole non fu lo zio. Solo che non l’ho mai detto a nessuno.

Daniele Modica

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