Il panino orfano

Amy MacDonald 1Aprile dolce dormire, tutto sembra quieto ma in realtà si sta spigrendo del torpore invernale e così gli uccelli cinguettano e gracchiano spensierati tra le frasche degli alberi, le pecore brucano tranquille ai piedi delle mura estensi, studiando con sufficienza i curiosi accorsi, assetati di selfie con ovino ruminante e la sottoscritta è conscia di doversi svestire della bradipitudine invernale e d’indossare senza più alcun indugio quella estiva. O almeno primaverile. Solo che il torpore mi impedisce lo scatto necessario e perciò la prova costume non riesce ad allarmarmi, né il ginocchio dolorante mi spinge ad atti di corsa eroica in piena sfida coi runner-vecchietti. Ah le nuove generazioni, di anziani intendo.
Sicchè devo trovare il giusto equilibrio tra entusiasmo da bella stagione che potrebbe gettarmi nell’ottimismo più bieco e un più rassicurante timore di un’estate troppo afosa, tipo quella passata. La cara pianura Padana non perdona chi non ha coraggio e io non ne ho, punto. Non di passare mesi a sudare senza calare un etto, anzi, sentendomi gonfia come un’anguria. Irritabile ed irritante perché terribilmente lamentosa. Respiro.

Bene, ora che ho raggiunto il giusto centro, tiro fuori dal cilindro l’artista che accompagnerà la settimana che scorrerà veloce veloce come le precedenti. Il brainstorming in singolo ha suggerito Amy MacDonald.
A questo punto, una mia amica potrebbe sentirsi tirata in ballo, perché non scherzo se vi dico che da casa controllavo la percorrenza del suo treno in tempo reale per capire se, nel cambio, avrebbe fatto in tempo ad accaparrarsi il panino-schifezza molto fast e poco food ma very fat. Tutta gioia. E’ ancora dannatamente orgogliosa di non aver preso le patatine, ma la mia disapprovazione è somma, che lo sappia, un panino senza patatine è orfano! Ok, la mia è sana invidia, perché sono in tempi di restauro fisico e tra poco mi debbo rimettere a regime prima di dover riparare una situazione troppo tondeggiante, mi perdonerà.
Amy MacDonald 2So, che l’ironia salta fuori facile, dato il cognome di questa cantante scozzese che non si prende la briga di mascherare il “lieve” accento e rendere comprensibile, anche ai meno avvezzi, almeno una mezza parola di quello che canta, che è bellissimo. Ma, in effetti, l’attimo ansiogeno che ha separato la mia amica viaggiatrice dal suo panino non appartiene più nemmeno ad Amy che, pure con il nome, non brilla per originalità. Quando è uscita l’ho amata subito, una voce spropositatamente profonda per un viso così angelico dagli occhi grandi e azzurri, il culone e un look che faceva respirare un po’ di personalità senza abusare di inutili eccessi, visto anche un genere folk, giovane ma certamente non innovativo. Mi piaceva per la schiettezza. E mi piace tutt’ora per come si spassa la vita facendo la musica che le piace, giovane e bella, anche senza più culone, perché libera dal junk food e con un parco macchine da far invidia a molti.
Tra l’altro una giovane età che però ha da raccontare un momento storico come quello della separazione degli Oasis: sembra fosse presente quando Liam fracassò la chitarra di Noel, il quale non volle più saperne del fratello.

Non so dirvi per quale motivo mi piacerebbe davvero conoscerla, ha quella che definisco una dolcezza grintosa. Adoro i groove che ritmano le sue melodie malinconiche ma che pure riescono a sprizzare gaiezza: non riconosco alcuna tristezza nelle sue atmosfere. Mi rimane un incognito che non voglio svelare, ma solo continuare a godere della semplicità che esalta il suo talento. Sono ormai lontani gli inizi tremolanti e anche un po’ stonati chitarra voce e microfono, magari in libreria invece che su un palco, davanti a un pubblico incoraggiante. L’entusiasmo di questa cantautrice è sempre stato contagioso. E dell’album d’esordio ammetto di non amare maggiormente i singoloni che hanno dominato le classifiche, vedi This is the life, Mr. Rock and Roll o Run, ma pezzi come Lets start a band o Wish for something more, o la bellissima Youth of today.

Francamente faccio fatica a districarmi nella scelta del video da associare a questo post, perché meritano un po’ tutte. Opto per il bel video di Slow it down, da Life in a beautiful light, ma è giusto per non fossilizzarmi sull’album d’esordio che vi consiglio di sparare in macchina, magari in un pellegrinare di piacere senza meta.



Giovanna Cardillo

Sono Giovanna. Da anni m’interesso di musica, che scrivo e soprattutto ascolto. Ho esperienza come musicista nel teatro terapeutico e ho studiato Culture e Tecniche della Moda. Mi innamoro di tutti i gatti che vedo e ho sposato appieno la loro filosofia di vita. Anzi, tutte le loro sette vite!

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