Tennessee Williams: Un tram chiamato desiderio

Tennessee Williams Un tram chiamato desiderio
Un viaggio nelle opere di un drammaturgo come Tennessee Williams di per sé non finisce mai, perciò eccomi ad un’altra tappa nel suo mondo di personaggi terribilmente veri e fragili. Ed è la volta di Un tram chiamato desiderio, davvero una pietra miliare nel lavoro di Williams, una storia intensa, dirompente, come sempre priva di sconti.
Il dramma, in tre atti, debuttò a New York nel 1947 (stesso anno in cui ottenne poi il Premio Pulitzer), per la regia di Elia Kazan, con Marlon Brando, Jessica Tandy, Karl Malden e Kim Hunter. Due anni dopo veniva realizzata anche la prima versione italiana, con Luchino Visconti come regista, la scenografia curata da Franco Zeffirelli e, tra gli interpreti, Vittorio Gassman e Marcello Mastroianni.
Nel 1951 Elia Kazan lo traspose anche su schermo cinematografico (vari i premi Oscar ottenuti): nel cast vennero mantenuti tutti gli attori della versione teatrale, tranne Jessica Tandy, nel ruolo principale di Blanche, che, non ritenuta abbastanza famosa, fu sostituita da Vivien Leigh. Della sceneggiatura si occupò lo stesso Williams, anche se come sempre furono necessari diversi cambiamenti e tagli a causa della censura. Nonostante ciò, il film conserva totalmente l’impronta teatrale originaria, girato quasi tutto in interni, con i soliti memorabili confronti tra pochi indimenticabili personaggi, formula cara all’autore.
Ma cosa significa, tanto per cominciare, il titolo?
È
letterale e insieme metaforico. Quando Blanche DuBois giunge a New Orleans per fare visita alla sorella Stella, deve salire su un tram denominato appunto “Desiderio” e poi recarsi in un luogo chiamato “I Campi Elisi”, che però non ha nulla a che spartire col proprio nome: Stella vive in un caseggiato popolare, abitato da gente chiassosa e di bassa estrazione, in un appartamento di poche stanze con il marito Stanley Kowalsky, un polacco dal carattere spiccio e brutale e una sensualità sfacciata e feroce.
Ma il desiderio è anche un tram simbolico su cui i personaggi viaggiano per tutto il tempo, qualcosa di sottile, a volte, di prorompente in altre, un bisogno che serpeggia in vari modi e per vari motivi. Desiderio per solitudine, per passione, per illusione, desiderio anche generato dal disprezzo.
Stella è chiaramente avvinta al marito dal desiderio, dalla sua passionalità selvaggia. Anche nel film, a dispetto delle censure, quasi stupisce l’erotismo esplicito nella scena in cui si rappacificano dopo un litigio, lui con la maglietta strappata che gli lascia scoperta la schiena, lei che gliela accarezza con aperta sensualità. Qualcosa di piuttosto inusuale nel 1951 (e le magliette di Marlon Brando diventarono leggenda).
All’interno di questa dinamica di desiderio di coppia, si inserisce il desiderio di Blanche: il suo è un bisogno legato alla devastazione della solitudine e a un trauma mai superato in gioventù. Il bisogno di essere amata, voluta, di conservare una giovinezza svanita e mai veramente vissuta. Alla radice il suicidio dell’amato marito: un primo amore incontrato a sedici anni, così forte da essere paragonato ad una luce accecante che improvvisamente arriva a illuminare un luogo sempre stato in penombra. Un amore con un segreto.
Purtroppo nel film la censura ha stravolto questo punto importantissimo, ma ho avuto la fortuna di assistere al monologo/confessione di Blanche ad uno stage e di godermelo in tutta la sua dolorosa, triste bellezza. In un esempio davvero splendido di drammaturgia, Blanche rivela il motivo del suicidio del marito: lei aveva scoperto la sua omosessualità e non era stata capace di capire e di contenere il disprezzo. Il giovane si era sparato in bocca, probabilmente credo perché era il primo a disprezzare sé stesso, il primo a non riuscire a capire ed accettare il proprio orientamento sessuale. Il racconto di quello sparo che interrompe la musica, di quella “cosa mostruosa” in riva al lago che tutti corrono a vedere, è davvero un pugno allo stomaco. Parole che tagliano, che scavano il cuore.
Il racconto di due vittime.
Una rivelazione condivisa con Mitch, amico e collega di Stanley, scapolo che vive con la madre malata, la rappresentazione del desiderio che nasce dall’illusione: sogna di sistemarsi e si innamora della fragilità e dei bei modi di Blanche, del suo eloquio brillante e sempre un po’ lirico. Le proporrà il matrimonio, ma Stanley lo farà desistere scoprendo e raccontandogli scomode verità sulla cognata. Blanche è alcolizzata ed è stata licenziata dalla scuola in cui insegnava per avere avuto una relazione con uno studente. Perduta la casa di famiglia ha vissuto in un albergo di dubbia fama.
Povera, povera Blanche… Lasciata sola dalla sorella tanti anni prima, lasciata a seppellire uno per uno ogni parente, con in testa il ricordo di quell’unico sparo e una musica interrotta. C’è chi non si salva, chi non può essere salvato.
Non Blanche. Mentre sua sorella sarà in ospedale in travaglio, lei subirà violenza da Stanley. Desiderio crudele, desiderio di sporcare e prevaricare. Finirà in manicomio, altro tema spesso trattato da Williams.
E Stella? Stella, col suo bambino, può salvarsi?
Nel film, consapevole di ciò che ha fatto il marito, afferma di non voler più stare con lui. Nell’opera originaria tutto è più vero e meno hollywoodiano, più ambiguo. Forse resterà, perché, come le dice una vicina, bisogna farlo.
Nessuno sconto, dicevo, neanche per gli spettatori, ma quanto genio. Se si amano le parole, i dialoghi, i personaggi autentici, come li amo io, non si può non amare Tennesse Williams.

Franca Bersanetti Bucci

Sono Franca, vivo in provincia di Ferrara e sono appassionata d’arte in generale, ma in particolar modo di teatro. Scrivo racconti, poesie e articoli su giornali online e siti internet.

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