Speciale al femminile (3/4): La Contessa Scalza, parabola di una stella con i piedi nel fango

Tutto inizia con un funerale, sotto la pioggia battente.
È il funerale di una donna. La sua statua, bellissima e in qualche modo intoccabile come lo era lei, sovrasta i partecipanti, magnifica e scalza. Perché lei non amava le scarpe e preferiva affondare i piedi nel fango.
A raccontare la sua storia sono alcuni degli uomini che ne sono stati testimoni, tra cui il regista che l’ha fatta diventare una stella e il marito, un conte italiano. Quello che l’ha uccisa.
Siamo infatti in Italia, a Rapallo, ma la vicenda ha preso il via in Spagna, dove la nostra protagonista, Maria, è nata e ballava il flamenco, splendida e inaccessibile.
Solo Harry, un regista americano, riesce ad avvicinarla. È a corto di ispirazione, costretto a lavorare per un milionario col capriccio del cinema che disprezza. La sua semplice sincerità un po’ malinconica fa breccia nelle barriere di Maria, che lo segue negli Stati Uniti e diventa subito una star.
Una stella che però continua a brillare remota e distante, un mistero per chiunque la circondi, bramata da tutti ma di nessuno. Si concede amanti ma non ama, perché per lei l’amore è una malattia e le persone malate non le piacciono.
Il destino ovviamente le giocherà un perfido scherzo, perché anche Maria un giorno si ammalera’ d’amore, ma il suo principe, il bel conte Vincenzo, si rivelerà affetto da impotenza, ossessionato dal fatto che la sua stirpe sia condannata ad estinguersi. Un uomo troppo difficile da capire e da sostenere per l’irrequieta, instabile, selvaggia Maria, che finirà col tradirlo. Le costerà la vita. Il conte la ucciderà e neppure Harry, il regista, che l’aveva accompagnata all’altare, potrà giungere in tempo a salvarla, dal suo assassino e da se stessa.
Joseph Mankiewicz confeziona questo suggestivo dramma nel 1954, guadagnando una candidatura all’Oscar per la sceneggiatura, fatta di dialoghi incisivi e realistici, che non risparmiano un’aspra critica all’industria cinematografica. Nel film c’è tanta Italia, dagli attori e i luoghi (Rossano Brazzi, Franco Interlenghi, Sanremo) agli abiti (creati dalle sorelle Fontana).
E al centro c’è lei, la meravigliosa Ava Gardner, perfetta per il ruolo: come la sua Maria, divenne famosa quasi per caso ed ebbe una vita sentimentale burrascosa (amò fra gli altri Frank Sinatra e Walter Chiari). Il suo carisma riempie e attraversa lo schermo, alternando fascino e fragilità, sfrontatezza e candore, remota eppure carnale bellezza.
Tra i protagonisti maschili, spicca su tutti Humphrey Bogart, nel ruolo di Harry, un personaggio di sorprendente profondità e delicatezza. Il leggendario “Bogey” dà vita a un uomo che, dietro una facciata cinica, nasconde onestà e dolcezza. Le rivela a tratti con disarmanti sorrisi che non ti aspetteresti e con gesti di puro affetto per Maria.
Non si può dimenticare il momento in cui, davanti al suo cadavere, le toglie le scarpe e poi la culla tra le braccia. Ci si commuove. È l’ultimo gesto di un vero amico, dell’unico che abbia compreso e accettato Maria così com’era, in un mondo che l’aveva sempre desiderata senza mai vederla sul serio. Come nella prima scena del film, in cui Maria balla il flamenco ma non viene inquadrata e la telecamera mostra solo gli sguardi concupiscenti che la fissano.
Tutto finisce al cimitero. Il funerale è concluso, non piove più, sta uscendo il sole. Ripresa di spalle, la statua scalza di Maria guarda i vivi andarsene.
Come dice Harry, “i copioni devono avere un senso, la vita no”.
Forse un senso alla vita di Maria dobbiamo trovarlo noi, vedendo il film. E vedendo lei, davvero.



Franca Bersanetti Bucci

Sono Franca, vivo in provincia di Ferrara e sono appassionata d’arte in generale, ma in particolar modo di teatro. Scrivo racconti, poesie e articoli su giornali online e siti internet.

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