RECENSIONE – “Quando c’era Marnie”

Quando c'era MarnieSuccede sempre così, arriva l’estate, il caldo torrido e mi torna sistematicamente una voglia estrema di cartoni animati, probabilmente per rivivere, anche solo in modo blando, i momenti delle vacanze estive, quando guardavo i cartoni giapponesi seduta sul tappeto del salotto e non mi importava che fosse un caldo insopportabile, nemmeno me ne rendevo conto. Oggi, poche cose mi fanno stare meglio di un film dello Studio Ghibli in un giorno di canicola come questi.
Quando c’era Marnie – che in Italia uscirà a settembre ma che è già acquistabile, per i fanatici come me, su Amazon in lingua originale con sottotitoli – racconta di Anna, una ragazzina di 12 anni che vive a Sapporo, una grande città nel nord del Giappone. Anna soffre di asma e, oltre a questo, fatica non poco a stringere amicizia con i coetanei, si sente diversa, tant’è che parla di un cerchio immaginario dentro il quale stanno quasi tutti, mentre lei ne sta fuori; così si chiude in se stessa e indossa una maschera, cioè la sua faccia normale, che non esprime emozioni particolari.
Anna è stata adottata da piccola, dopo la morte dei genitori e della nonna: la madre adottiva, con la scusa di far respirare aria buona alla figlia, decide di mandarla per le vacanze estive da una coppia di parenti, gli Oiwa, che vivono in un villaggio sul mare, sperando in realtà che il cambiamento possa scuotere emotivamente la ragazzina. I due coniugi accolgono Anna in modo caloroso, quasi fosse una loro figlia, ma lei stenta ancora a legare con i coetanei: preferisce passare il tempo da sola, all’aria aperta a disegnare. In modo particolare le piace una villa che si trova oltre un acquitrino: la villa, come le spiegano, è disabitata, ma Anna è certa d’aver visto le finestre illuminate e la sagoma di una ragazzina dai capelli lunghi, la stessa che presto inizia a farle visita in sogno. Una sera di alta marea, Anna, a bordo di una barca a remi, raggiunge la villa e qui incontra la ragazzina dei suoi sogni: Marnie. Tra sogno e realtà, tra Anna e Marnie si instaura un legame fortissimo, un’amicizia che si fonda su un affetto reciproco incondizionato e che porterà a risvolti imprevedibili che faranno luce sul passato di Anna.
Basato sull’omonimo romanzo di Joan G. Robinson e diretto da Hiromasa Yonebayashi (che aveva già diretto Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento), questo lungometraggio animato è l’ultimo prodotto dallo Studio Ghibli e, purtroppo, potrebbe esserlo in modo definitivo, in seguito al flop de La Principessa Splendente e il ritiro del maestro Hayao Miyazaki.
Di tutte le opere dello Studio Ghibli, questa non è forse la più magica; ciononostante non tradisce le attese dei fedeli appassionati del genere: magia, sogni, paesaggi, nonché immedesimazione per chi ha passato un’adolescenza isolata sentendosi diversi e desiderando così tanto un legame speciale con qualcuno, da arrivare a sognarlo e immaginarlo. Bisogna ammettere che, fino ad un certo punto, si è portati a pensare che l’amicizia tra le due ragazzine sottintenda altro, cioè che ci sia una tematica gay più o meno voluta ed esplicita: forse lo spettatore di oggi che ha visto film come Pomodori verdi fritti alla fermata del treno o Thelma & Louise, tende a decodificare certe relazioni in chiave gay. Alla fine il film chiarisce e smentisce questa supposizione, facendoci concludere che Quando c’era Marnie è un bel film d’animazione, sia visivamente che narrativamente e racconta di quanto possano essere forti i legami tra donne.

Anna: «In questo mondo c’è un cerchio magico invisibile. Esiste dentro e fuori. Questa gente è dentro. E io sono fuori.»





“Quando c’era Marnie” (“Omoide no Mani”, animazione, 2014, Giappone) di Hiromasa Yonebayashi.
Produzione: Studio Ghibli.

Francesca Orlandi

Mi chiamo Francesca, sono laureata in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università di Ferrara e da sempre appassionata di cinema. In questo spazio virtuale mi occuperò di recensire film e dare consigli cinematografici.

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