«Ho sceso dandoti il braccio, almeno un
milione di scale»
Eugenio Montale
Sulla pietra consumata dalle stagioni il vento freddo raccoglie manciate di foglie secche, radunandole negli angoli. Deve essere così anche per i ricordi. Fragili come foglie secche, basterebbe una mano stretta a pugno per sbriciolarli. Sono sospinti giorno dopo giorno negli angoli della mente, accumulati dal vento incostante della memoria. C’è da decidere se spazzarli via o lasciarli lì, mossi leggermente dalla brezza, a scricchiolare sotto le suole delle scarpe, ogni volta in cui troviamo il coraggio di scendere queste scale abitate da tutto ciò che è stato.
Potrei pensare solo a quello. Solo ai territori del mai più, a coloro che la vita ha portato via. Ma c’è altro su queste scale. Non solo vuoto, non solo assenza. I gradini salgono e scendono e da qui si arriva anche alla strada del verrà domani. A nuove presenze. A vuoti riempiti.
Non voglio più vedere il tempo su questa pietra, ma la bellezza dei ricami che gli anni vi hanno inciso. Non voglio salire le scale con affanno, ma scenderle di corsa, saltando i gradini due alla volta come da bambina. Non voglio credere che il vento sia freddo, ma mi ostino a sentirlo tiepido, con un po’ di primavera dentro. Allora le foglie secche dei ricordi si sparpaglieranno e non saranno più fragili e friabili, ma voleranno verso il cielo.
Forse trasformandosi in farfalle.