Cristian Ruiz in Neurosi delle 7.47: la missione dell’attore

Un uomo aspetta infreddolito un autobus. Un’attesa che diventa attesa della propria stessa vita irrisolta, non amata, che non cambia. Una confessione dei propri limiti, delle paure, dell’incapacita’ di evolvere.
Il tutto in un monologo firmato da Ennio Speranza, per la regia di Massimo Natale, che dopo aver debuttato un anno fa al Brancaccino, ora ritorna di nuovo in scena a Roma, alla Fonderia delle Arti, il 5, 6, 7 maggio prossimi.
Ne ho parlato con il suo protagonista, Cristian Ruiz, noto per essere uno dei migliori performer italiani di teatro musicale e che con questo monologo ha scelto di mettersi alla prova e sfidare se stesso.
«Recitare da soli è un po’ come essere un cast unico, puoi fare affidamento solo sulle tue forze» mi ha raccontato Cristian. «Serve tanta concentrazione, tanta energia e il pubblico diventa un po’  il tuo interlocutore, un altro personaggio con il quale parli.
Ultimamente nei ruoli che ho fatto, il livello di energie che ho dovuto spendere è stato sempre molto alto, quindi si è trattato di una sorta di palestra che ha portato a questo monologo, che è un po’ una prova del nove. Sono contento che mi sia stata data questa occasione. Questo è un testo che ha spaventato tante persone e tanti altri attori non lo avrebbero fatto. Io mi sono buttato in maniera anche un po’ incosciente. È una grande prova, una sfida con sé stessi quella di raccontare una storia completamente da soli».
Cristian ha aggiunto che il fatto di riportare il monologo in scena dopo un anno non cambia di molto i suoi sentimenti in proposito.
«Il personaggio è sicuramente un po’ più mio, ma la paura, l’emozione, la tensione sono sempre uguali. Quando si è soli in scena ci si ascolta di più, non si hanno filtri, non si hanno limiti. È molto bello e anche molto spaventoso».
Neurosi torna a Roma, ma… un tour? È possibile?
«Questo è uno spettacolo nato fondamentalmente per Roma. Sarebbe molto facile da portare in giro ma nell’ultimo anno ho avuto molti impegni e cercare di portare in giro un monologo è un lavoro a sé stante che non è stato possibile fare. Il bello di un monologo è però che si basa su un solo attore e quando quell’attore è disponibile lo spettacolo può andare in scena. Quindi chissà, in futuro…»
Noi ci spereremo. E intanto nel futuro di Cristian Ruiz potrebbero  esserci altri lavori in prosa?
«La prosa è un po’ in crisi, il musical ha ora un mercato differente, quindi dovrei andare in controtendenza rispetto agli altri. Però la prosa è il mio primo grande amore».
Maggio si avvicina, l’attesa per quell’autobus sta per riprendere… perché il pubblico dovrebbe vedere Neurosi delle 7.47?
«Perché parla di tutti noi. E io mi offro. È anche un po’ una missione, quella dell’attore, senza voler esagerare. Mi offro di dare una visione dei fatti, un modo di riflettere. E anche di divagare dai propri pensieri.
Il teatro è bello perché è come un blocco nell’ostinazione del pensiero. Giorno per giorno indugi nella tua quotidianità  e improvvisamente alle otto hai questo blocco, questa digressione, una deviazione forzata verso altri mondi, che poi ti porti dietro quando torni a casa.
Quindi io mi offro di stare insieme a chi vorrà venire  e per un’ora e mezza vivere una vita diversa».
Ringrazio davvero Cristian Ruiz per questa piacevole chiacchierata. Per uno spettatore è un’esperienza affascinante ascoltare un attore parlare del proprio lavoro: si ha davanti un uomo e allo stesso tempo molti uomini, qualcuno con dentro la chiave universale per aprire mille porte su mille storie. In fondo agli occhi di un attore ci sono strade.
Guardate quelli blu di Cristian Ruiz e mi darete ragione.
E andate a vedere Neurosi delle 7.47. Scoprite se quell’autobus arrivera’ e cos’ha da dirvi l’uomo che lo aspetta.

[ Foto in bianco e nero di Michela Piccinini. ]

Franca Bersanetti Bucci

Sono Franca, vivo in provincia di Ferrara e sono appassionata d’arte in generale, ma in particolar modo di teatro. Scrivo racconti, poesie e articoli su giornali online e siti internet.

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