Zerovskij – Solo per amore: un treno da non perdere

Che cosa c’è di più simile alla vita di una stazione?
Partenze, arrivi, ritardi, treni persi come occasioni mancate, altri presi al volo, incontri, a volte solo di un attimo, a volte per sempre, attese, ritorni, addii. Il senso profondo del viaggio di ognuno di noi, con i bagagli di ricordi, emozioni, sogni, canzoni.
Quanto mai azzeccata quindi la scelta di Renato Zero di ambientare proprio in una stazione il suo Zerovskij – Solo per amore, lo spettacolo con cui celebra cinquant’anni di carriera.
Una scelta coraggiosa. Avrebbe potuto giocare sul terreno sicuro di un concerto classico, accontentando tutti con i suoi cavalli di battaglia, ed invece ha optato per una vera e propria opera di teatro musicale, che ha spaccato in due il suo pubblico di sorcini, dividendolo tra entusiasti e delusi.
In una società in cui spesso persino i più giovani non hanno l’audacia di tentare nuove vie, trovo che quello di Zero sia il gesto di libertà di un vero artista, che dopo cinque decenni ha ancora il desiderio e l’intima necessità di evolvere, di raccontare una propria visione, di ricercare la magia del l’insolito (che peraltro sempre gli è appartenuta).
Di certo è insolita Stazione Terra, surreale crocevia di anime e destini, dove Dio parla con la voce di Pino Insegno, da qualche parte si aggira un barbone dinamitardo con la faccia di Gigi Proietti e si incontrano il misterioso capostazione Zerovskij, Tempo, Odio, Amore, Morte, Adamo ed Eva e anche Enne Enne, ragazzo senza famiglia che lo stesso Zerovskij ha trovato quando era in fasce, abbandonato tra i binari.
Attraverso questi personaggi dal tocco vagamente felliniano, con un uso sapiente dei brani dell’ultimo album e di altri del vecchio repertorio adatti allo scopo, Zero crea un vero e proprio mondo, riuscendo a toccare temi di attualità anche molto pesanti e a parlare di ciò che gli sta a cuore. Non è un semplice esercizio di stile, il suo, ma un’esperienza artistica di grande forza poetica.
Di tutte le figure che popolano questa stazione, quella che mi ha convinta meno è Tempo, rimasto sullo sfondo rispetto agli altri. Non certo per colpa dell’attore (Leandro Amato, come tutti i suoi compagni, è uno dei migliori interpreti del nostro panorama teatrale), ma piuttosto dei testi, che non mi sono parsi incisivi e ispirati come quelli degli altri personaggi. “Che nessuno mi chieda più previsioni sul futuro”, dice a un certo punto, “perché quel futuro, cari miei, spaventa anche me!”. Parole che mi hanno colpita, ma volevo di più.
Meglio approfonditi, a mio parere, Odio, interpretato da un energico e grintoso Marco Stabile, e Amore, con il volto ben noto agli amanti del musical di Cristian Ruiz. Due lati della stessa medaglia, legati come certe coppie disfunzionali, in continua collisione, ma reciprocamente necessari. In particolare ho trovato davvero originale e carica di significati l’idea di un Amore invalido, costretto su una sedia a rotelle. Spesso ci viene imposta un’immagine stereotipata ed eccessivamente idealizzata dell’amore, descritto come perfetto, fin troppo. Questo Amore è tutt’altro, consapevole di essere quanto di più complesso, bello e difficile esista a questo mondo, dalle mille forme e dalle mille interpretazioni. Un Amore con tanti spilli nel suo cuore rosso, che chiede di non restare una parentesi irrisolta. Vero, tanto vero da essere indimenticabile.
Poi ci sono i rappresentanti dell’umanità: Adamo ed Eva, i genitori di tutti gli uomini e le donne, e il figlio di nessuno, Enne Enne. Un suggestivo accostamento.
Adamo ed Eva (interpretati da Claudio Zanelli e Alice Mistroni) sono una coppia messa in crisi da tradimenti, tentazioni, incomprensioni. Enne Enne – affidato al talento di Luca Giacomelli Ferrarini, che i fan di Zero hanno già conosciuto come Glitter nel tour invernale di Alt– è arrabbiato, disilluso, alla ricerca di una guida paterna e ormai a corto di speranza. Sono rappresentanti dell’umanità senza una loro canzone… Un’altra delle poche cose che non ho apprezzato, perché mi ha lasciato l’impressione fastidiosa che nel mondo di Zerovskij l’umanità non abbia la possibilità di cantare. Di nuovo peccato.
Certo è che se non cantano, hanno comunque in sorte alcuni dei momenti più potenti dello spettacolo. Soprattutto Alice Mistroni e Luca Giacomelli Ferrarini riescono a comunicare emozioni di profondo impatto solo con l’espressivita’, senza parole. Lei, nella scena, intensa e dolorosa dedicata al femminicidio. Lui restando accanto a Zerovskij durante alcuni dei suoi pezzi più toccanti e nella scena del suo tentato suicidio, quando Morte canta la splendida L’ultimo valzer sul suo corpo esanime.
Morte, si. Non l’avevo scordata. Ma Roberta Faccani andava lasciata per ultima, come una nera dolce amara ciliegina. Un ruolo importante il suo, che lei affronta con ironia e passionalità, toccando il cuore nel monologo sull’eutanasia.
Tutti ottimi attori, vale la pena ripeterlo. Renato Zero non fa scelte casuali. E naturalmente resta il grande protagonista, con il suo Zerovskij che si racconta grazie alla musica (esaltandola con il supporto di trenta coristi e dei sessantuno elementi dell’Orchestra Filarmonica della Franciacorta) e che in prosa stranamente non parla, gesticolando su basi registrate.
Ho letto e udito commenti perplessi in proposito, ma c’è una motivazione narrativa per questo, se la si cerca. E si ascolta. Il teatro è ascolto. E Zerovskij va ascoltato.
Io non ve lo svelo, così come non scendo in dettagli sul finale, perché chi non l’ha visto lo scopra da sé e chi lo ha visto lo interpreti a modo suo.
La mia personalissima interpretazione è che Zerovskij rappresenta per me il miracolo dell’Artista e dell’Arte. L’Arte che sfida il Tempo, si misura con l’Odio, declina l’Amore e lo eleva, trasforma la Morte in Vita e ugualmente la accetta, unisce ciò che è separato, salva chi si sente abbandonato e gli dona una direzione e uno scopo.
O forse è tutta una grande Follia. E l’Arte è anche quello.
Questo è il mio Zerovskij.
Voi trovate il vostro.
Dopo la prima trionfale sosta a Roma, lui e i suoi compagni di viaggio vi aspettano il 18 luglio a Barolo, per il Festival delle Collisioni, il 29 luglio a Lajatico, l’1 e il 2 settembre all’Arena di Verona e il 7 e 9 settembre a Taormina.
Non perdete questo treno.

[ Foto di Barbara Rea.

Foto di gruppo dalla pagina FB di Marco Stabile. ]

Franca Bersanetti Bucci

Sono Franca, vivo in provincia di Ferrara e sono appassionata d’arte in generale, ma in particolar modo di teatro. Scrivo racconti, poesie e articoli su giornali online e siti internet.

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