Ab urbe condita – Seconda puntata

Ferrara, Basilica di San Giorgio

Ferrara, Basilica di San Giorgio

D’acord, bona par ‘stal Castrum, mo Frara ‘n’du v’ela?
TRADUZIONE:
D’accordo, va bene per il Castrum, ma Ferrara dov’è?

Il Ferrarese, dialetto meraviglioso! Ogni tanto mi scappa, mi scusino i non ferraresi….
Facezie a parte, ed al di là delle notizie storiche lacunose che possiedo, il Castrum Bizantino, il cui nome giace da lunghi secoli immemore agli uomini, sorgeva sulla riva sinistra del Po, coincidente all’incirca con l’area di San Pietro, all’interno delle mura della città e compreso tra le attuali via Coperta e via Fondobanchetto, proprio dove esso formava un’isola che divideva il Grande Fiume nei suoi due rami principali, il Po di Volano ed il Po di Primaro.
Quella piccola isola, così ben difendibile ed accogliente, diventerà l’isola di S. Antonio, dove alcuni secoli dopo troveremo la Basilica di San Giorgio, prima sede Vescovile di Ferrara, ed il nucleo primevo di Ferrara.
La nascita di Ferrara non è dovuta alla pacifica aggregazione di gente proveniente dai territori circostanti per motivi di convenienza sociale o pratica, come invece successe in molti altri casi, ma funestata e favorita contemporaneamente dal fuoco e dal sangue!
Ferrara nasce fra il sesto e l’ottavo secolo, per i motivi di cui abbiamo già parlato (maledetta anagrafe, non c’è mai quando serve!..) ed ha come motus generandi, probabilmente, le invasioni barbariche che continuavano a tormentare questo territorio.
Tuttavia esso, malgrado la difficile situazione idro-geologica, come diremmo oggi, non era talmente alieno ed improponibile da essere avulso alla vita umana.
Certo il colpo d’occhio non doveva essere di più incoraggianti, caratterizzato da ampie zone paludose e malsane, territori emersi, spezzettati da canali ed ampi specchi d’acqua più o meno stagnante e malsana, prevalentemente coperti da estese foreste, clima estremamente caldo d’estate e freddo d’inverno.
E, al di sopra di tutto, esposto ai capricci del Po, con le sue piene ed i suoi periodi di magra, un territorio che risultava comunque appetibile per le sue risorse, sia in termini di aree potenzialmente in grado di fornire raccolti di entità e qualità memorabili, sia per la relativa ricchezza di materie prime minerali che il fiume trascinava con se durante le piene impetuose e, terminata la spinta propulsiva, depositava nel suo delta, ed infine per l’abbondanza del materiali da costruzione principe: legno ed argilla.
Ragionando un pochino abbiamo visto alcuni fatti:

  1. una grande isola, il Polesine di S. Antonio, consentiva, attraverso la fruizione di due facili guadi, il decorso dell’unica strada interna che, da Ravenna, consentiva ai cittadini dell’Esarcato di raggiungere i propri domini veneti;
  2. la presenza di facili approdi per le barche commerciali, che (come visibile al Museo Archeologico Nazionale di Casa Romei) a Ferrara avevano un limitato pescaggio, favorendo quindi il trasporto e la commercializzazione di beni;
  3. la presenza, ancora, del castrum bizantino che con la sua mole garantiva sicurezza ed una relativa stabilità;
  4. la progressiva cessione di terreni, da parte della Chiesa, ai contadini mediante contratti di enfiteusi, dopo la creazione, avvenuta negli anni immediatamente precedenti,di due importanti strutture monastiche nella zona, l’Abbazia di Pomposa e il Convento di Santa Maria in Porto.

Tutto ciò induce a pensare che, probabilmente in maniera spontanea ed estemporanea, già da diversi anni si fossero formati piccoli borghi laddove gli interessi economici e sociali si intersecavano.
In questo panorama troviamo, dunque, alcuni borghi sparsi, in realtà aggregazioni precarie e limitate, nate probabilmente dall’esigenza di reciproca assistenza, sia nel lavoro quotidiano, sia nella comune difesa dalle continue scorrerie di barbari; infatti, i popoli barbari italianizzati, Goti in primis, sempre alla ricerca di occasioni per rendere meno precarie le proprie condizioni di vita, approfittavano di questi borghi con frequenti scorrerie, volte sia al depredamento degli abitanti, sia a procurarsi schiavi, merce sempre ricercata ed apprezzata fonte di manodopera pressoché gratuita.
In questo contesto, a dire il vero desolato e deprimente, spiccava Voghenza, già allora antico borgo, di origine romana (Vicus Habentia), sede vescovile e fiorente borgo deltizio; ubicato amministrativamente nel territorio di Ravenna, la sua presenza è nota e documentata fino dall’epoca etrusca.
Il massimo fiorire sia economico che demografico del Vico, tuttavia, si ebbe in epoca romana, quando assunse importanza amministrativa prevalente sul territorio circostante come divenne il centro di controllo amministrativo delle grandi proprietà demaniali romane della zona, denominate Vercellae Ravennatium.
Essendo il maggiore centro sia politico che religioso che di aggregazione demografica del territorio, esso rappresentava ovviamente il bersaglio naturale per le mire dei saccheggiatori. Ovvio, quindi, che il Vescovo decidesse di spostare la propria sede presso la rassicurante presenza di un Castrum militare, in cerca di tranquillità e di prosperità.
Ed, assieme al vescovo, all’epoca indiscussa autorità religiosa, politica e militare del territorio, si spostò al nuovo centro di aggregazione chiunque ne avesse la benché minima possibilità, sperando in condizioni di vita migliori e più serene.
Facendo, quindi, alcuni semplici ragionamenti non è difficile arrivare alla conclusione che il Vescovo di Voghenza non si sia mosso all’avventura per cercare un luogo ove fondare una città, ma si sia diretto verso un qualcosa di preesistente, come ad esempio un piccolo borgo sorto attorno ad una locanda posta fra i due guadi, protetti dal castrum.
E questi ragionamenti pongono un problema agli Storici, quelli veri, con la «S» maiuscola (cui, peraltro va tutta la mia incondizionata ammirazione ed il mio rispetto, io non sto che ripercorrendo il percorso da loro tracciato in anni di duro lavoro intellettuale).
Se l’ipotesi che ho formulato, oltre che plausibile, è vera, allora il nostro Vescovo non è stato il propulsore della fondazione della città, ma solo l’ennesimo invasore…
… pur con l’indiscusso merito di aver dato, ad un piccolo agglomerato di case, la spinta propulsiva per crescere fino a giungere al meraviglioso esempio di bellezza che oggi Ferrara è!
… punti di vista? Forse! Realtà dei fatti? Può darsi! Gratuita speculazione? C’è sempre la possibilità!
La mia “onestà intellettuale” è appagata: ho esposto una teoria, precisando che è solo una teoria, non ho fatti che la supportino, se non una “consecutio logica” di eventi plausibili, però… tutto fila!
A chi mi legge il diritto di accettala o confutarla, io accetto qualsiasi critica costruttiva, non sono e non voglio salire in Cattedra, ma sono e sarò sempre disponibile ad imparare ed ammettere i miei errori.
Dopo tutti questi ragionamenti, signore e signori, sono felice di presentarvi la star dello spettacolo: Ferrara!
Ed invece no. A questo punto si confondono tutte le tracce, già flebili, che ci hanno condotto fino a qui: “Sua Maestà Il Mito” arriva a rimescolare le carte e confondere ulteriormente le nostre idee, già confuse di per sè. A partire dal nome.
Mo questa l’è n’altra fola, a n’in sscuren st’altra volta, avv salut, bela zzent, par incuò ass punsen!
(Traduzione: «Ma questa è un’altra storia, ne parliamo la prossima volta, vi saluto bella gente, per oggi ci riposiamo»).
Ciao a tutti da Mauro e ci ritroviamo qui la prossima settimana, se lo vorrete.

Mauro Chiapatti

Mauro Chiapatti

Mi chiamo Mauro, faccio un lavoro che mi piace (il Tecnico di Radiologia), che ho scelto e voluto e di cui sono, anche, fiero. La mia passione per la storia, in particolare per il Medioevo, mi ha portato ad approfondirne la conoscenza e l'attiva partecipazione alle attività del Palio mi ha consentito e mi consente di "riviverne" certi aspetti.

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