Speciale San Valentino (2/4): Cime Tempestose, l’Amore Nero



Non sempre l’amore fa rima con sole e con cuore. Non sempre è tenero, a lieto fine, luminoso. A volte è fatto di passione oscura, folle, violento come una tempesta.
E Cime tempestose, leggendario romanzo di Emily Bronte, è sicuramente un esempio  di questo tipo di amore a tinte fosche.
Sono state tante, nel tempo, le trasposizioni cinematografiche della rabbiosa storia tra Heathcliff e Cathy, ma a mio avviso, la migliore, per fascino e intensità, resta la versione del 1939, diretta da William Wyler.
Due sono i principali motivi che la rendono tale. Uno squisitamente estetico: il bianco e nero è l’ideale per trasportare lo spettatore nelle atmosfere gotiche della vicenda e nella bellezza aspra della brughiera fatta di roccia, vento e pioggia.
L’altro motivo è lui, sir Laurence Olivier, il più grande Heathcliff di tutti i tempi. Almeno per me.
Già noto come attore teatrale, Cime tempestose fu il suo primo film. All’epoca poco più che trentenne, Olivier è assolutamente perfetto per il ruolo, di una bellezza straordinaria che, grazie al talento, piega alle esigenze e ai mutamenti del personaggio, arricchendolo di sfumature personali, che lo rendono unico, un Heathcliff a sé stante, non in pieno quello del libro, non somigliante a nessuno degli Heathcliff venuti dopo. È il suo Heathcliff.
Ma soffermiamoci un attimo sulla storia: Heathcliff è un trovatello che il signor Ernshaw, proprietario della casa chiamata Cime Tempestose, riporta con sé un giorno, da un viaggio. Lo vuole adottare, farlo crescere come fratello dei suoi suoi due figli, Cathy e Hindley.
Heathcliff e Cathy, che è vivace e ribelle, legano subito. Hindley invece non reagisce bene e alla morte del padre relega Heathcliff allo stato di servo. Questo non impedisce a lui e Cathy di innamorarsi. Ma Cathy è un’anima inquieta, mai doma. Entrata in contatto con la ricca famiglia Linton e il giovane sofisticato Edgar, è affascinata dal suo stile di vita così diverso e abbagliante di musica e luci e si allontana da Heathcliff.
Indimenticabile è la scena in cui Cathy racconta alla fedele governante Ellen che Linton le ha chiesto di sposarlo. Ellen sa che Heathcliff le sta ascoltando, appena fuori la soglia della cucina, ma Cathy lo ignora e dichiara che sposare Heathcliff sarebbe degradante. La fiamma della candela sul tavolo oscilla e trema. Ellen capisce che Heathcliff deve essere uscito nella tempesta. Purtroppo non sentirà Cathy ammettere di non poter sposare Linton, di ritenere di non essere fatta per il paradiso. Rivelare che il suo unico pensiero nella vita è lui, Heathcliff. Sino alla celeberrima frase “Io sono Heathcliff”.
Bellissima ma spaventosa, perché arrivare ad “essere” la persona amata è pericoloso, è oltre il limite.
E comunque è tardi. Heathcliff è fuggito. Sparito nella tempesta.
Tornerà anni dopo, quando Cathy si è costruita una parvenza di vita tranquilla insieme a Linton. Lui in America ha fatto fortuna. Del ragazzo selvaggio e passionale è rimasto solo il ricordo, ora è un uomo dal fascino ammaliante e ambiguo, deciso ad ottenere vendetta per tutti i torti subiti. Inizia col comprarsi Cime Tempestose, umiliando Hindley, continua sposando l’ingenua Isabella, sorella di Linton, condannandola poi a una vita infelice. E tormenta Cathy, con la propria presenza, con quell’amore divorante e ossessivo che lei ha perduto, cercato di dimenticare, ma che ancora la abita come una malattia. E infatti Cathy si ammala. Si consuma fino a morire.Il film taglia tutta la seconda parte del libro, dove si racconta anche dei figli dei protagonisti, che qui sono eliminati, ma l’essenza della storia rimane intatta. La morte di Cathy, tra le braccia di Heathcliff, davanti alla finestra affacciata sulla brughiera, è di profondo impatto, così come le parole di Heathcliff che la condanna a non avere pace, che le chiede di perseguitarlo come spettro o in qualsiasi forma, tutto “purché tu non mi lasci solo in queste tenebre in cui non posso più trovarti”.
E così sarà: anni dopo un Heathcliff invecchiato e sempre più incupito dal dolore seguirà la voce di Cathy nella tormenta di neve ed in essa troverà la morte.
Anzi no, come dirà l’anziana Ellen “è con lei, hanno cominciato ora a vivere”.
Il film fu candidato a otto premi Oscar e vinse quello per la migliore fotografia. Notevoli anche le ambientazioni, i costumi, il trucco.
Oltre a Olivier, ottimo tutto il cast. Merle Oberon dà vita con generosità e partecipazione a una Cathy vibrante di vita e inquietudine. La amo molto nelle scene finali della malattia, con gli occhi che sembrano diventati più grandi e le occupano il viso, brillanti di una luce simile alla follia. Vivien Leigh, che al momento delle riprese aveva da poco iniziato la sua relazione con Olivier, cercò di avere il ruolo al posto suo, ma, pur considerando che sarebbe stato di certo interessante vederla interpretare Cathy accanto al compagno, devo dire che non riesco ad immaginarmi una Cathy diversa da quella della Oberon.
Da ricordare anche Flora Robson, che offre un bel ritratto di Ellen e David Niven, nei panni di Linton.
Recuperate questo film. Perché è un piccolo gioiello. E perché a San Valentino magari può valere la pena di mettere da parte cuoricini, zucchero e occhiali rosa e affrontare la tempesta. Nella vita vera una passione simile è altamente sconsigliabile ma in un libro o, in questo caso in un film, anche l’oscurità ha una sua indubbia poesia.
Come cantava Mina “ti colpirà l’amore nero, tutto sarà terribile”.


Franca Bersanetti Bucci

Sono Franca, vivo in provincia di Ferrara e sono appassionata d’arte in generale, ma in particolar modo di teatro. Scrivo racconti, poesie e articoli su giornali online e siti internet.

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