Speciale al femminile (2/4): Il ritratto di Jennie, fiaba di una musa

Per antonomasia, la musa ispiratrice è donna e, nell’immaginario collettivo, vive quasi sempre un appassionato amore con l’artista che ispira.
È proprio il caso di Il ritratto di Jennie, film del 1948, per la regia di William Dieterle e la produzione del sempre illuminato David O Selznick, che partecipò anche alla sceneggiatura.
Al centro della vicenda è appunto la misteriosa, magnetica Jennie, che ha il volto e l’intensità luminosa di Jennifer Jones. È ancora giovanissima, quasi una bambina, quando Eben (Joseph Cotten, che per il ruolo ottenne una Coppa Volpi) la incontra per caso.
Lui è un pittore squattrinato in cerca di ispirazione e, immediatamente colpito, ne tratteggia uno schizzo. Successivamente continua ad imbattersi in lei, se ne innamora alla follia e ne dipinge un ritratto. Avvinto e travolto, non sembra rendersi conto dei discorsi strani della ragazza, del suo apparire sempre dal nulla per poi scomparire senza spiegazioni, del fatto che ogni volta sembri più grande, in uno scorrere del tempo del tutto astratto ed estraneo alla realtà.
Sino a che Eben scopre l’incredibile verità: Jennie è morta da anni.
Noi spettatori lo avevamo intuito praticamente dall’inizio ma l’ingenuo, tenace sentimento di Eben ci ha comunque coinvolti e continuiamo ad appoggiarlo sino alla fine, quando raggiunge Punta Scura, il faro presso cui è morta Jennie durante una tempesta, nel mezzo di un’altra bufera, sicuro di trovarla laggiù.
Ed è così, Eben sopravvive per miracolo, ma può riabbracciare per qualche minuto la sua Jennie, confermarle il suo amore nonostante tutto.
Il ritratto di Jennie è un piccolo capolavoro di romanticismo oscuro e soprannaturale, dove il lato fantastico riflette e riverbera la metafora artistica, perché Jennie è uno spettro ma anche un’idea e un ideale, una figura catalizzatrice che nutre il talento di Eben e lo porta a creare il capolavoro della sua vita.
Il film ottenne un Oscar per gli effetti speciali e vanta un uso davvero innovativo e sorprendente dei colori: nel trailer questi effetti mancano, ma la pellicola, dopo essere stata per tre quarti in un bel bianco e nero, di colpo durante la parte finale della tempesta si colora, alternando il viola al seppia e altre tonalità. Indimenticabile il momento all’interno del fare, con le scale che salgono in un’ipnotica spirale e l’intero schermo verde. Si resta così sorpresi che quasi non ci accorge che poi il film chiude completamente in technicolor, con il ritratto esposto e ammirato dal pubblico.
Va ricordata anche la colonna sonora di Dimitri Tiomkin, che comprende il brano Portrait of Jennie“, scritto da Bernard Herrmann e cantato da Robert Nathan, autore del libro da cui è tratto il film.
Voglio infine citare anche il bel personaggio di Miss Spinney, interpretato dalla grande Ethel Barrymore: la proprietaria della galleria a cui Eben vende i propri lavori e che osserva il suo percorso con saggezza e sincero affetto.
Secondo Germaine Greer, la musa non può essere penetrata ma è lei a penetrare la mente dell’artista, fino a fargli concepire e generare un’opera, in un ribaltamento dei generi e dei ruoli. Ebbene di certo questo è Jennie per Eben: penetrazione della mente, del cuore e dell’anima. E creazione.

Franca Bersanetti Bucci

Sono Franca, vivo in provincia di Ferrara e sono appassionata d’arte in generale, ma in particolar modo di teatro. Scrivo racconti, poesie e articoli su giornali online e siti internet.

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