RECENSIONE – “Infelicità senza desideri”

Infelicità senza desideri, di Peter HandkeCon Infelicità senza desideri Handke ha raggiunto un equilibrio di scrittura che la critica non ha esitato a definire “classico”: di fronte al suicidio della madre, appreso dal giornale, il giovane scrittore austriaco sente la necessità di ricomporre con le parole quell’esistenza mancata, quella vitalità offesa e ridotta a meccanismo biologico e coatto.
La tragedia, innegabile, di un figlio posto dinnanzi al suicidio della propria madre è affrontato dallo scrittore austriaco senza retorica e senza pietà per niente e per nessuno.
Il libro non è un atto di accusa contro il mondo o contro lui stesso, non è intriso di senso di colpa. Il dolore, inimmaginabile, del figlio-scrittore viene gettato su carta in maniera oggettiva, quasi asettica, scientifica. L’ unico modo scovato da Handke per oltrepassare la sofferenza emotiva generata dall’ atto suicidi ario è capire o raccontare sua madre come donna.
Infelicità senza desideri possiede, come spesso capita con il Nostro, molteplici piani di lettura. La chiave interpretativa (o piano) da me preferita riguarda la definizione della condizione della donna in Austria dagli anni ’30 fino al 1972.
Handke finisce con il capire che sua madre in quanto donna ha vissuto in un contesto sociale che le ha estirpato con la violenza qualsiasi capacità di desiderare. Il poeta Handke alla fine vede la verità: sua madre era morta molto tempo prima del suicidio ed era stata uccisa da un mondo che concepiva la donna come un animale domestico senza sogni il cui compito primario era procreare.
Il romanzo apparso in lingua tedesca nel 1972, divenne subito un imprevisto best-seller.

Peter Handke (Griffen, 6 dicembre 1942) è uno scrittore, drammaturgo, saggista, poeta, reporter di viaggio e sceneggiatore austriaco.

Matteo Pazzi

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