Pugni e carezze

E’ molto tempo che mi rigira in testa un articolo su questa cantante che di recente non ha passato uno dei momenti migliori della sua esistenza: Sinead O’ Connor.
Irlandese verace che più verace non si può, è venuta alla ribalta con l’indimenticata e sempre attuale Nothing compares to you, composta e prodotta da Prince, altro grande di cui dovrei decidermi a trattare.
Sinead tuttavia ha iniziato ben prima a divorare la salita nel mondo della musica, il primo album è del 1987, Lion and the cobra. L’artista è dotata senza dubbio di un caratterino piuttosto vivace, che ben più di una volta ha scatenato putiferi qua e là per il globo, in realtà più per il modo che per i contenuti. Storico l’episodio in cui durante l’esibizione di War (pezzo di Bob Marley), cambia gli ultimi versi per scagliarsi contro il fenomeno della pedofilia negli ambienti ecclesiastici, condendo la cosa stracciando la foto del Pontefice; si scuserà pubblicamente. Ora, con tutto il rispetto che ho per il mondo cattolico, quello capace di agire per fede, correttamente e senza ombre (c’è anche quello), ma si è visto di peggio e sinceramente il fenomeno è tutt’oggi tristemente attuale, anche in ambiente laico. Esternazioni così forti, farsi ordinare prete per un movimento cattolico indipendente, dedicare esibizioni a Papa Luciani e dichiarare di voler salvare Dio e la fede: non è avercela con la religione. Mi sembra una sincera presa di posizione alla ricerca di qualcosa di puro. La battaglia penso sia insita nella sua anima, a più livelli, visti anche gli episodi recenti di tentato suicidio che denotano un vero e proprio disagio psichico. Mi dispiace, perché questa donna che genuinamente prende posizione, e radersi i capelli quasi a zero penso sia il meno, in realtà ha collezionato una serie di album che, se non da classifica, se non altro entrano in quella sfera di emozioni che pochi sanno dare. A me incuriosisce molto e tengo sempre a portata di mano quando sono in giro con la mia quattro ruote, Faith and Courage, progetto guidato dal pezzo No man’s woman, radiofonico, immediato, grintoso. Infatti non è stato ignorato. Altri pezzi nell’album sono accattivanti, altri un po’ meno ma la peculiarità è senza dubbio la voce. Ha quel retrogusto malinconico che vibra ad ogni sferzata di rabbia. Questa cosa o ce l’hai o non ce l’hai: non è uno stile che puoi studiare. Si sente che ogni lavoro è quasi istintivo e che parte dal bisogno di esorcizzare un senso, forse, ipotizzo, di solitudine. Metto il dubbio di mezzo perché credo che l’animo di Sinead sia tutt’altro che semplice. Fascinosa nei momenti di tristezza, attraente in quelli di rabbia e bellissima quando sorride. Così è la sua musica.
Una domanda mi sorge. La malattia è il bersaglio preferito dall’ipocrisia: comprensione se rimane lì dov’è. Quando ci ricorda che esiste, emerge il problema. Per paura di non saperla gestire, timidezza, imbarazzo, perché no anche menefreghismo (esiste). Il punto con la malattia mentale è che ti abitui a sentire gridare al lupo al lupo e non capisci più quando il lupo c’è davvero. Districare la matassa di ciò che si cerca di esprimere passa attraverso una buona dose di empatia che non deve farci trascinare giù per la disperazione, che, scusatemi, sostengo emerga soprattutto nel momento in cui non si viene compresi. Sono matti, mica scemi. Non volendomi addentrare in un discorso di cos’è poi la normalità, visto che credo quantomeno a un concetto di ordine delle cose, ritorno alla nostra artista che di botte nei denti dal music business ne ha ricevute parecchie e forse la peggiore: tanta stima ma sostegno pratico poco. D’altra parte gli anni novanta, o meglio, la seconda metà degli anni novanta hanno visto sì l’ultimo baluardo delle donne del rock, ma pure l’avanzata delle prime iconcine pop che ad oggi hanno pure retto. Non capisco bene cosa stia succedendo, forse ad oggi raggiungeremo quell’ibrido tra prodotto discografico che funziona e qualità; mi chiedo solo che fine faccia quella parte d’istinto che contraddistingue la musica. Perché, ballare e far vita godereccia è più che giusto, fare introspezione su ballate pensate per le radio con abbondante uso di autotune per coprire malfunzionamenti vocali può anche risultare gradevole, ma le palle? Cioè, non quelle che ti fai ascoltando certe filastrocche per bambini spacciate per grandi hits o lagne/nenie camuffate da grandi turbamenti d’amore, intendo proprio quella forza di carattere di persone che il compromesso cercano di farlo così: “per carità incontro all’etichetta ci vengo altrimenti non si rientra delle spese, ma anche io ho il mio stile interpretativo e vi assicuro che lo farò attecchire”. Raramente si sono sbagliati.
Di seguito vi piazzo un pezzo dall’album Faith and Courage, Jealous che chiude il ritornello con un verso che a me piace. I don’t deserve to be lonely just coz you say I do. (Non merito di rimanere sola solo perchè lo dici tu).



[ Immagini: newyorker.com | independent.ie ]

Giovanna Cardillo

Sono Giovanna. Da anni m’interesso di musica, che scrivo e soprattutto ascolto. Ho esperienza come musicista nel teatro terapeutico e ho studiato Culture e Tecniche della Moda. Mi innamoro di tutti i gatti che vedo e ho sposato appieno la loro filosofia di vita. Anzi, tutte le loro sette vite!

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