La Congiura- Firenze 1478: viaggio nel tempo e nel cuore

 

Il teatro è viaggio.
Di città in città, che per un giorno o più diventano casa. Viaggio nelle storie, che dal palcoscenico vengono raccontate a noi spettatori nomadi. Nel caso di La Congiura- Firenze 1478, un viaggio nella Storia.
Per quattro giorni, dal 10 al 13 giugno 2017, mi sono fatta adottare da Firenze e ogni sera l’affascinante struttura del teatro dell’Opera mi ha accolta, permettendomi di tornare indietro nel tempo. Ogni sera ho percorso le strade fiorentine del 1478, assistendo al tentativo dei Pazzi di usurpare il potere mediceo assassinando Lorenzo il Magnifico e il fratello minore Giuliano. Una congiura riuscita solo a metà, che portò alla morte del giovane Giuliano e alla vendetta spietata nei confronti dell’intera famiglia Pazzi.
Un pezzo di cronaca storica italiana riportato in vita dal genio di un grande Maestro come Riz Ortolani, che ha sognato e voluto fortemente questo progetto, componendone le musiche e realizzandone il libretto insieme al drammaturgo e regista Ugo Chiti, con liriche di Lorenzo Raggi e Mae Kroville.
L’opera musical, che debuttò dieci anni fa con il titolo di Il Principe della Gioventù (appellativo dato dal poeta Poliziano a Giuliano de Medici), ha trovato ora la sua forma definitiva, grazie a un team di artisti tra i migliori che il nostro teatro musicale possa vantare.
A partire dalla regia di Sandro Querci, che definirei illuminata. Sono stata conquistata dalla semplicità evocativa della sua visione: assecondando l’estro del Maestro Ortolani e coadiuvato dalle coreografie di Fabrizio Angelini e dal progetto artistico della Cupola del Brunelleschi di Pier Luigi Pizzi, Querci ha creato un quadro rinascimentale vivo e poetico.
Potente l’inizio, con la partita di calcio storico e l’idea accattivante dei momenti a rallentatore. Da lì in poi è un alternarsi di dramma e passione, come nella migliore tradizione lirica.
Da un lato, Francesco de Pazzi, interpretato con grande partecipazione ed energia dallo stesso Sandro Querci: dominato dall’odio (meravigliosa Amo il mio odio) e dalla sete di rivalsa, le sue scene, da solo o con gli altri cospiratori, affondano quasi sempre nell’ombra, sinonimo di un’anima cupa come i suoi abiti, in cui la tenebra si accumula.
Dall’altro lato, la figura carismatica di Lorenzo de Medici, il leggendario Magnifico, che rappresenta soprattutto la malinconia del potere, incarnata con dolente profondità dal sempre incisivo Luca Maggiore: Lorenzo è concentrato sul dovere e i sacrifici che l’essere un Medici comporta e persino durante le ore spensierate del carnevale, che trasforma la scena in un quadro vivente del Botticelli e mette in musica la celebre Canzona di Bacco, il Magnifico pensa alla sua città e le si rivolge come ad un’amante (“Amante mia”).
In mezzo a questi due poli opposti, c’è lui, Giuliano, il Principe della Gioventù, emblema della bellezza e della luce, che ha il volto e la ben nota forza espressiva di Luca Giacomelli Ferrarini. Vestito di bianco e di vita, ai piedi stivali rossi, colore dei Medici ma anche del cuore, quel cuore che batte fermando il tempo quando gli occhi di Giuliano incontrano lo sguardo della bella Fioretta (Francesca Colapietro). Giuliano è davvero la giovinezza, che con audacia e gioia vuole emergere, al di sopra di ambizioni e giochi politici. Corteggia la sua Fioretta tra i panni stesi al sole e le tinozze piene di petali di rose delle lavandaie e la ama sotto la neve (Io la notte, tu la luna, splendido brano, di nuovo una folgorante intuizione registica di Querci). Ma Giuliano è qualcosa di più di un principe delle favole e quando Fioretta gli rivela di essere incinta, le dimostra di non essere solo un amante ma un uomo che ama.
Francesco, Lorenzo, Giuliano. Tre vertici di un triangolo fatto di odio, amore e dovere, che si incontrano nella bellissima Fratello mio (se non ti amassi), uno dei brani che più mi ha colpita e toccata, dove il confronto tra i due fratelli diviene anche lo specchio dei tormenti di Francesco, che incombe oscuro sui loro destini.
Tra il dramma e la passione romantica, ci sono anche occasioni di leggerezza, per lo più affidate a Cristian Ruiz (Pico della Mirandola), Fabrizio Checcacci (Fra’ Arlotto), Gabriele De Guglielmo (il poeta Pulci), Elena Talenti e Serena Carradori (Lucrezia e Clara) e alla unica e sola, divina, Silvia Querci, nel ruolo della balia Cencia: del Rinascimento tutti loro rievocano soprattutto il lato goliardico, festoso e gaudente, strappano sorrisi, accompagnano con allegria l’amore di Giuliano e Fioretta, i loro brani restano in testa come deliziose filastrocche.
Voglio ricordare anche l’ottimo corpo di ballo e Marco Paolo Tucci nei panni di Jacopo de Pazzi.
Sono incredibilmente vivi questi personaggi, si fanno amare.
E per questo il finale è ancora più feroce, cattivo, doloroso. Ho visto Luca Giacomelli Ferrarini morire in altri ruoli, ma mai in modo così realistico e disturbante: la velocità dell’attacco durante la messa, l’accanimento dei colpi, la vita di Giuliano che se ne va senza la possibilità di un gesto o di una parola, strappata via con brutalità. Difficile, davvero difficile da vedere e accettare.
E poi Il tempo delle lacrime, impressionante concertato finale, in cui musica e canto corale raggiungono vette di autentica potenza lirica e il mio cuore di spettatrice si sbriciola.
In questo brano, splendida Francesca Colapietro: la sua disperazione e poi il coraggio che le trasforma il volto, insieme alla consapevolezza di dover salvaguardare ciò che le resta di Giuliano, quel figlio che un giorno diverrà Papa. Chissà, mi chiedo io, se a Giulio avranno mai raccontato di quanto fosse luminoso suo padre…
Infine un ultimo colpo di regia: a terra il corpo di Giuliano, sullo sfondo della cupola quello impiccato di Francesco e una citazione in latino che gli applausi del pubblico scosso e colto di sorpresa in parte sovrastano.
Sono parole del Poliziano, dedicate al Principe della Gioventù, ne celebrano la grandezza d’animo e altre virtù. Il corpo dell’assassino pende su quello dell’uomo di valore di cui ha spento la vita. Giustizia poetica. Il mio cuore di spettatrice si ricompone, anche se una piccola crepa rimarrà, in un angolo. Perché dopo ogni viaggio non si è più uguali, restano segni indelebili. E succede che davanti alla tomba di Giuliano de Medici, che riposa accanto al fratello circondato dalla bellezza delle sculture di Michelangelo, quella piccola crepa nel mio cuore stilli una lacrima sincera.
Grazie a Riz Ortolani, a Sandro Querci, a Luca Giacomelli Ferrarini e a tutti i fantastici artisti che hanno dato vita alla Congiura, ho viaggiato nel tempo per quattro sere e Giuliano de Medici non è più solo un nome sui libri di storia. Ora è una persona vera, un ragazzo morto troppo presto da ricordare con dolce rimpianto.
L’Arte, quella autentica, produce anche queste magie: fa viaggiare il cuore e dona incontri impossibili.

Magni animi et maximae costantiae et bonorum morum cultor

[Foto provenienti dalle pagine Facebook dello spettacolo e dell’Opera di Firenze e dal servizio del TGR Toscana.]

Franca Bersanetti Bucci

Sono Franca, vivo in provincia di Ferrara e sono appassionata d’arte in generale, ma in particolar modo di teatro. Scrivo racconti, poesie e articoli su giornali online e siti internet.

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