Questo è uno di quei post che prendono ispirazione dalle mie maratone notturne davanti alla televisione, in completo stato d’ipnosi. Dopo un puntatone di The Voice sono molti i programmi che possono risultare interessanti senza particolari difficoltà, perché io penso e ripenso, perciò sono distratta. In stato ipnotico, però penso: devo smettere d’incazzarmi quando imbruttiscono qualche classico che sarebbe meglio lasciar stare. Non ho nulla contro questi talenti che combattono per emergere (e gli auguro di cuore di essere presi seriamente), ma ho molto contro alcune scelte, del tipo: lascia stare Christina Aguilera (il mio cuore ha sanguinato), lascia stare The Sound of silence (non così arrangiata almeno), insomma, lascia stare! Preferisco stupirmi ad apprezzare una cover rispetto all’originale, è una cosa che capìta.
Dunque, mentre metto in atto la mia azione di protesta, tutta mentale, mi si spalanca la mandibola per la meraviglia di un documentario su James Brown. E, naturalmente, mi irrito. Sì, mi irrito, perché sono cose che andrebbero trasmesse in prima serata, perché arricchiscono anche una pittima come la sottoscritta, e invece bisogna sempre beccarle per caso, mezzi rimbambiti dallo stress quotidiano.
Dicevamo. James Brown. Come al solito non mi soffermo su tutte le finezze tecniche che sciorina come fossero tramezzini di Mestre in pasto a me. Brown è precursore praticamente di ogni cosa giri in radio dagli anni ’70 ad oggi. Ciò che continua però a ronzarmi in testa è che è partito dal nulla. Ma quando dico nulla, intendo nulla: avere solo i vestiti che indossi e non essere nemmeno sicuri siano appropriati per la stagione in corso. Sono stati in tanti ad essersi costruiti da zero, però nel suo caso la cosa mi arriva con un fascino particolare. Non saprei dire il perché. Ha un ego strabordante (e anche violento purtroppo), è vero che ha abusato di qualsiasi cosa esistente in commercio e non, è vero che ha commentato negativamente gruppi che sono colonne portanti del rap definendoli sue brutte copie, ma in tutta la sua somma antipatia, come fai a non dargli ragione? E’ la questione di chi, nella vita, ha voglia di vivere e per farlo sceglie e porta avanti la sua scelta. Non si può mettere d’accordo tutti e ci vuole coraggio quando non hai nulla se non la miseria. Qualcuno può obiettare che non si ha nulla da perdere, ma è evidente che, visto l’enorme successo, qualcosa da perdere l’aveva: sé stesso. Dice bene, James Brown, che una cosa è sognare il successo e una cosa è quando diventa realtà: tu sei diventato il tuo sogno, e adesso che si fa? O sei pronto e sai cosa stai maneggiando oppure ti falci da solo. Il successo non è per tutti. E’ aver rischiato grosso. La convinzione nelle cose fa davvero la differenza, e in lui si vede, è convinto di sé. In un momento in cui essere artista non è la voce “professione” sul documento d’identità.
Mi sono accorta solo adesso di aver scritto al presente di questo artista. Non è più su un palco a scatenarsi, ma vive ancora (no, lo so che è deceduto una decina di anni fa). Una grinta così ruggisce anche senza leone. E tanto per fare un punto che mi ricollega alla mia protesta iniziale, ricordo un’epica interpretazione di It’s a man’s world della Aguilera, un’altra personcina a modo che ha dovuto combattere contro molti pregiudizi. A tal proposito mi piace il pensiero di James Brown: «Non esiste la musica nera, non c’ è colore nella musica, la musica è lo spirito e lo spirito non ha colore» .
A parer mio, il gran successo di James Brown è dovuto senz’altro alla presenza scenica, alle innumerevoli hits, alla personalità strabordante, ma soprattutto ha riassunto un concetto molto efficace e comprensibile anche a chi non vuol capire: il mondo è brutto ma a me piace.
«Dio, l’ amore, il rispetto per gli altri, la voglia di fare, un pizzico di aggressività che mi viene dal mio segno zodiacale, quello del Toro».
Il primo che critica ancora le mie osservazioni sui segni zodiacali si becca una mia esibizione in Get up (I feel like) a sex machine vestita di leggins zebrati. .. No, va beh, non riesco a fare il robot, non abbiamo le stesse caviglie! (L’uomo snodato, mannaggia a lui!)
Vi segnalo un link interessante, è un’intervista di qualche anno fa: la trovate cliccando qui (dateci un’occhiata, è una bella intervista).